Chi l’avrebbe mai detto che per parlare di marketing avrei tirato in ballo le chiese? Eppure eccoci qua: da un lato la Chiesa Cattolica in Italia e in Europa – un colosso bimillenario che, in termini di marketing, sembra un’azienda storica incapace di innovare e tenersi i clienti.
Dall’altro lato le megachurch protestanti americane – una sorta di startup della fede, aggressive e scaltre come guru del marketing a risposta diretta. Preparatevi: confronteremo numeri impietosi, strategie (o mancanze di strategia) comunicative di Papi e prelati, e trarremo lezioni utili per imprenditori e marketer. Perché se la Chiesa è in crisi di “mercato” e le chiese USA spopolano, qualcosa vorrà pur dire. Partiamo dal declino “commerciale” della fede in casa nostra.
1. Il declino della Chiesa Cattolica in Italia e Europa
Fedeli in fuga: numeri di un crollo epocale
In termini brutali di “quote di mercato della fede”, la Chiesa Cattolica in Italia e in Europa ha perso un’enormità di clienti (fedeli praticanti) negli ultimi decenni. Non parliamo di sensazioni, parliamo di dati.
Negli anni ’70 la messa domenicale era un rituale quasi obbligatorio: nelle piccole città italiane, se saltavi la messa ti guardavano storto, un po’ come il negoziante guarda il cliente che non passa più. Oggi? Le panche sono vuote. Guardiamo le cifre:
- Affluenza alle messe: nel 1993 circa il 37% degli italiani adulti andava a messa almeno una volta a settimana, oggi siamo scesi attorno al 20-23%. Secondo l’ISTAT, nel 2019 i praticanti settimanali erano il 23,7%, oltre un terzo in meno rispetto al 1993. E nel 2020 si è toccato il minimo storico: solo il 19,4% degli adulti italiani va a messa la domenica. Avete capito bene: 1 italiano su 5. Praticamente, in chiesa ci trovi più panchine vuote che fedeli.
- Trend pluri-decennale: dal boom economico in poi, e ancor più dopo gli anni ’70, la discesa è stata costante. Un sociologo ha rilevato che dal 2005 in poi la fuga dalla messa è accelerata: molti che prima erano “clienti occasionali” (praticanti saltuari) sono diventati non praticanti totali. L’effetto Covid? Irrilevante: il declino c’era già prima ed è proseguito uguale. Insomma, un’emorragia lenta ma inesorabile, altro che crisi passeggera.
- Differenze generazionali: i giovani sono i primi a disertare. Nel 2020, ben 35% dei giovani 25-44 anni dichiarava di non mettere mai piede a messa, contro il 21,8% del 2010. In dieci anni i giovani che non vanno mai a messa sono aumentati di 13 punti percentuali. Quelli che ci vanno almeno settimanalmente sono crollati dal 22% al 14%. Praticamente, se cerchi under 40 in chiesa trovi più facilmente statue di santi che ragazzi in carne ed ossa. Solo gli anziani resistono un po’ di più (il 31% degli over 65 va ogni settimana), ma anche lì la metà abbondante preferisce altre attività (la briscola? la bocciofila? Netflix?). È un dato di fatto: i giovani stanno alla Chiesa come i millennial stanno al telefono fisso – roba d’altri tempi.
- Fedeli “sulla carta” vs praticanti: qualcuno obietterà: “Ma gli italiani si dichiarano ancora cattolici in maggioranza!”. Vero, sulla carta battesimale forse sì. Ma il cliente fedele (in senso di loyalty, non di devozione) è chi pratica, non chi si dichiara e poi non “consuma il prodotto”. Se la frequentazione reale crolla, vuol dire che il “brand” Chiesa non attira più all’evento settimanale principale. Immaginate un ristorante che conserva tanti clienti sulla mailing list, ma sempre meno gente che viene a mangiare: ecco, la situazione è quella.
E in Europa? Va perfino peggio in molti Paesi. L’Italia, paradossalmente, è ancora tra i migliori mercati per il Vaticano. In Francia o in Nord Europa le percentuali di praticanti regolari sono spesso sotto il 10%.
Persino in Irlanda, un tempo roccaforte cattolica, la messa domenicale è scesa su livelli impensabili (30% o meno in alcune aree, dal quasi 90% che era fino agli anni ’70). La secolarizzazione – chiamiamola concorrenza del “mondo”, degli svaghi, dell’indifferenza religiosa – ha fatto piazza pulita.
Siamo in piena Legge del Cambiamento (che Ries e Trout citano implicitamente: le mode cambiano, i trend pure) e la Chiesa non l’ha prevista né contrastata a dovere (ahi, violazione della Legge dell’Imprevedibilità e forse anche della Legge dell’Accelerazione, perché non ha colto i trend di lungo termine, aggrappandosi a speranze di inversioni di rotta miracolosamente rapide).
Vocazioni e personale in calo: crisi di prodotto… e di “forza vendita”
Non solo i “clienti” scarseggiano: anche la forza vendita (mi perdonino i preti per la metafora) è in crisi nera. Meno preti, più vecchi, chiese chiuse: se fosse un’azienda, diremmo che i negozi chiudono per mancanza di personale e di domanda.
- Calo dei sacerdoti: Cinquant’anni fa in Italia c’erano oltre 65.000 sacerdoti, oggi poco più di 30.000 – un calo del 54%. Non serve un MBA per capire la tendenza: crollo costante. Le ordinazioni di nuovi preti non rimpiazzano affatto quelli che muoiono o lasciano. L’età media del clero si impenna (oltre 60 anni in media in Italia) e i giovani preti under 30 sono specie rarissima (passati da 1.708 nel 2000 a soli 599 nel 2020, un calo del 60%).
- Parrocchie chiuse o accorpate: Con questi numeri, come puoi coprire tutte le “filiali” (parrocchie) sul territorio? Difatti non puoi. Negli ultimi 30 anni la Chiesa italiana ha soppresso 458 parrocchie, al ritmo di una al mese. E spesso non è neanche sufficiente: i parroci (i sacerdoti responsabili di parrocchia) sono scesi sotto quota 17.000 a fronte di 25.594 parrocchie totali.
Tradotto: migliaia di chiese senza parroco residente, costrette a essere servite “a turni” o messe che saltano. Ci sono preti costretti a correre come manager con troppe sedi: uno in Molise che deve coprire 15 comunità, messe non garantite ovunque. La previsione (poco allegra) di Ratzinger di alcuni decenni fa – una “Chiesa ridotta, più piccola ma più pura” – si sta avverando, ma non per un disegno strategico, piuttosto come conseguenza di un fallimento nel tenersi la “clientela” e attrarre nuove “vocazioni”.
- Rimediare col “personale importato”: Laddove può, la Chiesa rimedia pescando preti da altre parti del mondo. In Italia i sacerdoti stranieri (spesso dall’Africa o dall’Asia) sono passati da appena 204 a ben 2.631 in trent’anni. Una crescita enorme (oltre 10 volte tanto) che però è un cerotto su una ferita: significa che il mercato locale non produce più vocazioni, e si tamponano i buchi importando “missionari inversi”.
Un po’ come se un’azienda italiana non trovasse ingegneri qui e li assumesse tutti dall’India: funziona finché trovi qualcuno disposto a venire, ma è indice di debolezza strutturale locale.
In sintesi, la Chiesa Cattolica in Europa appare come un’azienda con fatturato in calo (fedeli praticanti giù), punti vendita che chiudono, organico in diminuzione e invecchiato, e pure poco ricambio generazionale. Le cause sociologiche possono essere tante (secolarizzazione, benessere, cultura postmoderna ecc.), ma noi qui la guardiamo dal punto di vista comunicazione e marketing: dov’era il dipartimento marketing mentre succedeva tutto ciò? Probabilmente a scrivere encicliche che pochi leggono, invece di fare ricerche di mercato come si deve.
Dal pulpito ai social: comunicazione e branding da Papa Ratzinger a Papa Francesco
Passiamo ora al branding e comunicazione del “prodotto” Chiesa. Qui entriamo in un campo minato, ma lo faccio senza timori riverenziali. Pensiamo ai due ultimi Papi (escludendo il brevissimo Giovanni Paolo I e ovviamente San Giovanni Paolo II che meriterebbe un capitolo a parte): Benedetto XVI (Joseph Ratzinger) e Francesco (Jorge Mario Bergoglio). Due stili di comunicazione diametralmente opposti, due “brand ambassador” con approcci diversi… ma alla fine, i numeri sopra ci dicono che nessuno dei due è riuscito a invertire il trend. Dove si è sbagliato in ottica marketing?
1. Papa Benedetto XVI – il “professore” fuori luogo nel mercato moderno: Ratzinger è stato un Papa-teologo, un intellettuale raffinato. Ma a livello di comunicazione pubblica, diciamolo, non bucava lo schermo manco per sbaglio. Linguaggio complesso, tono serio, immagine austera. Per i già fedeli era una garanzia dottrinale (il brand guardian della tradizione), ma per i lontani era lontanissimo, percepito come rigido e poco empatico.
Se la Chiesa fosse un brand, Benedetto l’ha posizionata come premium per un segmento tradizionalista, perdendo tutti i casual e gli infrequenti. Legge del Focus: sì, ha rifocalizzato sul nucleo duro (identità cattolica, liturgia sobria, niente strizzatine d’occhio al mondo). Questo potrebbe sembrare positivo in teoria (concentrarsi sul core business), ma in pratica ha violato la Legge della Percezione: la Chiesa veniva già percepita come rigida e lontana, e il suo pontificato ha rafforzato quella percezione negativa presso il grande pubblico, anziché sfidarla.
Inoltre, ha ignorato la Legge dell’Uomo Comune (che non è nelle classiche 22 di Al Ries è Jack Trout ma nel marketing di Dan Kennedy e Jay Abraham è un fondamentale che conta): parlare la lingua del target. Lui parlava la lingua dei teologi, ma il target – i giovani, i laici – ormai parlavano Instagram, non il latinorum.
- Errori clamorosi di comunicazione? Uno su tutti: il discorso di Ratisbona (2006) in cui citò una frase infelice su Maometto. Un disastro diplomatico-mediatico: ecco un esempio di Legge del Hype (Ries & Trout dicono: la situazione reale è spesso l’opposto di ciò che viene detto nei media). I media dipinsero Benedetto come un incendiario, mentre lui intendeva fare un discorso accademico. Puro gap di percezione. In termini di marketing, Benedetto aveva un prodotto dottrina eccellente per i clienti affezionati, ma zero appeal per conquistarne di nuovi. Il suo brand personale, “Panzerkardinal” o “Il custode dell’ortodossia”, era troppo di nicchia per invertire un trend di massa.
2. Papa Francesco – il “marketer inconsapevole” che ha ampliato il linguaggio ma forse perso il Focus: Con Bergoglio abbiamo assistito a un rebranding notevole. Dal primo “Buonasera” affacciato dalla loggia, invece del solito fraseggio liturgico, ha dato un segnale: cambio stile, più vicino alla gente. Ha rinunciato a molti simboli di pompa (niente mozzetta rossa, niente scarpette Prada – Legge del Sacrificio in azione: ha sacrificato elementi dell’immagine tradizionale per guadagnare in umiltà percepita).
È diventato rapidamente il Papa “della misericordia”, focalizzato su poveri, emarginati, migranti, ambiente. Ha lanciato messaggi semplici, quasi da slogan (“Chi sono io per giudicare?” riferito alle persone LGBT, per esempio, fu una dichiarazione potente).
- Dal punto di vista marketing, Papa Francesco inizialmente ha centrato la Legge del Focus scegliendo la parola “misericordia” come cuore della sua comunicazione (volendo semplificare, il “verbal nail di Al Ries” che voleva possedere era Misericordia/Accoglienza).
Ha cercato di riposizionare la Chiesa da “giudice severo” a “madre amorevole”. Mica male come intuizione di repositioning (che ricorda la Legge dell’Attributo Opposto: se il leader è visto in un modo, tu enfatizza l’attributo opposto; qui il leader era la precedente immagine di Chiesa giudicante, Francesco ha spinto sull’opposto: la Chiesa accogliente).
E inizialmente c’è stato anche un “effetto Francesco”: nel 2013-2014 alcuni parroci segnalavano volti nuovi a messa, curiosi riavvicinati dal carisma del nuovo Papa. Un sondaggio indicò che quasi il 30% degli italiani si sentiva più vicino alla Chiesa dopo l’elezione di Francesco. Insomma, come un nuovo CEO che porta entusiasmo e curiosi in negozio per vedere le novità.
- Ma… (c’è un grosso “ma”) questo effetto non si è tradotto in un’inversione di trend duratura. I numeri di partecipazione e vocazioni hanno continuato a calare nonostante la popolarità mediatica di Francesco. Perché?
Perché ha violato la Legge della Coerenza nel brand: nel tentativo di piacere a tutti, ha rischiato di confondere il messaggio. Da un lato parla di misericordia, dall’altro la dottrina di fondo è sempre la stessa (non è che abbia cambiato i dogmi su matrimonio, sesso, ecc.; semplicemente li enfatizza meno).
Questo porta a un misunderstanding: i lontani magari speravano in cambi rivoluzionari che non sono arrivati (delusione), i vicini tradizionalisti invece talvolta si sono sentiti spiazzati o scontenti (sentono tradito il Focus sulla verità dottrinale). E così rischi di scontentare un po’ tutti.
- Inoltre, Francesco ha diluito il focus: parla di ecologia, economia, politica internazionale, migrazioni… Ottimi temi umanitari, per carità, ma qual è la “parola” unica che la Chiesa vuole possedere? Ries e Trout direbbero: se vuoi essere forte devi possedere una parola nella mente della gente (Legge del Focus). La Chiesa per secoli possedeva parole come “salvezza”, “speranza eterna”.
Oggi, qual è il focus? Se chiedi a 10 persone, magari uno dice “poveri”, un altro “papa simpatico”, un altro “scandali”, un altro “noioso”. C’è confusione percettiva.
Legge della Percezione: la realtà non conta, conta la percezione del cliente. E la percezione attuale è di una Chiesa un po’ allo sbando, che prova a rifarsi il trucco ma ha perso la bussola (del marketing, sicuramente, e forse non solo quella).
- Anche la gestione mediatica, pur più astuta di prima (Papa Francesco è ovunque: Twitter, Instagram, copertine, talk show indiretti tramite interviste), ha avuto scivoloni. Pensiamo alla comunicazione durante gli scandali (dalla pedofilia al caso IOR): spesso tardiva, reticente – qui salta la Legge del Candore (che suggerisce di ammettere subito un punto debole, girandolo a proprio favore).
La Chiesa invece tende a chiedere scusa anni dopo a mezza bocca, con comunicati prudenti, accusata di ricollocare i preti colpevoli invece che cacciarli con infamia. Nel frattempo la concorrenza (media laici, opinionisti) ha già distrutto la reputazione sul punto. È come se Toyota tergiversasse su un difetto grave alle auto invece di richiamarle subito: perderebbe irrimediabilmente fiducia.
Insomma, Ratzinger e Bergoglio hanno incarnato due strategie quasi opposte: uno concentrato sulla tradizione (focus sul core ma incapace di attrarre nuovi “clienti”), l’altro sbilanciato sull’apertura (rebranding accattivante ma sacrificando chiarezza di posizionamento).
Il risultato? La curva dei fedeli praticanti non si è rialzata. Come direbbe Al Ries, hanno violato la Legge della Percezione credendo che bastasse migliorare il prodotto o cambiarlo per riportare gente, senza capire che nella mente della gente la Chiesa o era distante dalla gente comune (con Benedetto) o rimaneva poco credibile/non incisiva (con Francesco).
Anche la Legge del Successo colpisce: la Chiesa, forte di 2000 anni di “leadership” nel mercato religioso occidentale, si è seduta sugli allori. Atteggiamento da monopolista arrogante: “tanto gli italiani sono tutti cattolici, torneranno”. Ma la Legge del Successo dice che il successo genera spesso arroganza e cecità.
Così è stato: hanno ignorato segnali di cambiamento (crescita dell’ateismo pratico, nuove esigenze spirituali non coperte, concorrenza delle sette o di altre offerte) finché la diga dei fedeli ha ceduto.
Errori di marketing della Chiesa: un recap rapido
Mettiamo in fila, da bravi marketer cinici, le leggi del marketing violate o ignorate dalla Chiesa Cattolica recente:
- Legge della Percezione: si ostina a parlare di “verità” come se fosse una gara sul prodotto migliore (“abbiamo la dottrina giusta, abbiamo Gesù vero”). Ma la gente vive di percezioni: se percepisce che la Chiesa è antiquata o oppressiva, quella è la realtà per loro. La Chiesa non ha saputo riposizionarsi efficacemente nella percezione moderna come qualcosa di utile, vicino, rilevante. Le megachurch lo fanno, vedremo dopo.
- Legge del Focus: Qual è il focus oggi? Un tempo era “salvezza dell’anima”, punto. Ora un po’ di tutto: etica, pace, migranti, ambiente, tradizione, innovazione… Troppe battaglie, nessun singolo messaggio forte. Un brand che vuole dire tutto finisce per non dire niente. Avete presente quelle aziende che continuano a lanciare prodotti su prodotti e line extension e perdono l’identità? Ecco.
- Legge del Sacrificio: Lato opposto del focus: per focalizzarsi, devi sacrificare qualcosa. La Chiesa invece non sacrifica niente (tranne gli orpelli scenografici con Francesco, ma parliamo di sostanza). Non rinuncia a dogmi magari “impopolari” né però rinuncia a voler piacere al mondo. Risultato: resta con posizioni che le alienano molti (su sesso, famiglia, ecc.) senza però nemmeno guadagnare la stima dei tradizionalisti che la vedono tentennare. Nel marketing, se vuoi conquistare un segmento nuovo spesso devi perderne uno vecchio. La Chiesa non vuole perdere nulla esplicitamente, ma sta perdendo comunque – per emorragia silenziosa – sia progressisti (insoddisfatti perché non cambia davvero) sia conservatori (che si sentono traditi dalle aperture di linguaggio). Un capolavoro al contrario.
- Legge dell’Innovazione vs. Continuità: (Questa me la sono inventata io adesso, chiedo scusa in anticipo a Al Ries e Jack Trout per la mia mancanza di umiltà). Un brand storico deve innovare senza perdere la propria essenza. La Chiesa ha innovato male: il Concilio Vaticano II negli anni ’60 cercò di svecchiare (messa in italiano, preti “moderni”), ma fu una mezza estensione di linea non ben gestita: ha alienato alcuni tradizionalisti (che ancora rimpiangono il latino) senza riuscire a trattenere i giovani a lungo termine. In seguito, con Giovanni Paolo II c’è stato un buon marketing personale (Papa globetrotter carismatico), ma i problemi strutturali sotto covavano.
Insomma, si è intervenuti in modo tattico, non strategico. Non c’è stata un’analisi di mercato seria: cosa cercano oggi le persone sul piano spirituale? Come vivono la religione? Come raggiungerle nei nuovi ambienti (TV, poi web)? La concorrenza (evangelici, new age, ateismo) cosa offre di diverso? Queste domande, che sarebbero pane quotidiano per un product manager, la Chiesa le ha affrontate poco o niente.
- Legge delle Risorse: Ries e Trout la mettono per ultima: servono risorse adeguate per il marketing. La Chiesa, paradossalmente, ha molte risorse (denaro, rete capillare, proprietà, media cattolici...). Ma come le investe? Principalmente per mantenere la struttura esistente, non per fare innovazione o marketing aggressivo. Quanti budget sono destinati a evangelizzazione 2.0? Pochi. Un esempio banale: le parrocchie italiane campano con l’8xmille e offerte, ma raramente investono in strumenti per attrarre nuovi fedeli (serate a tema, pubblicità locale, social media engaging). Di solito tappano i buchi di bilancio e restaurano tetti. È gestione ordinaria, non visione di crescita. Nel business questo equivarrebbe a spendere tutto in manutenzione dei negozi vecchi, niente in marketing e R&D: inevitabile il declino.
Abbiamo fatto a fette la Chiesa Cattolica come case study di pessimo marketing? Sì, e con dispiacere, perché qui non parliamo di bibite ma della religione di molti di noi. Ma tant’è: i numeri parlano chiaro. Ora guardiamo dall’altra parte dell’oceano, dove alcuni hanno applicato (consapevolmente o meno) le regole del marketing alla religione – e hanno costruito dei colossi in crescita, le megachurch americane. Preparate pop-corn e Bibbia: lo show sta per iniziare.
2. Il successo esplosivo delle chiese protestanti americane (megachurch & Co.)
Passiamo dal vecchio negozio polveroso (la parrocchietta vuota) ai centri commerciali della fede: le megachurch USA. Se la Chiesa Cattolica è la Fiat che arranca, questi sono le Ferrari dello spirito santo: moderni, sgargianti, customer-centric. Nomi come Joel Osteen o Saddleback Church di Rick Warren sono famosi quasi quanto rockstar, almeno oltreoceano. Vediamo perché “fanno numeri” da far impallidire qualsiasi parroco e come applicano il marketing.
Numeri da capogiro: fedeli, donazioni, community in crescita
Le megachurch (definite in genere come chiese con oltre 2.000 partecipanti a settimana) sono proliferate dagli anni ’80 in poi negli Stati Uniti. Hanno letteralmente creato un mercato nuovo (Legge della Categoria: se non puoi essere il primo in un mercato esistente, createne uno nuovo). Non potevano certo battere la Chiesa Cattolica sul suo terreno storico in Europa, quindi hanno prosperato altrove inventandosi un modo diverso di “fare chiesa”. Alcuni dati:
- Lakewood Church (Joel Osteen) – Houston, Texas: È forse la più grande di tutte. Oltre 45.000 persone partecipano ogni settimana alle sue funzioni, in un’enorme ex arena sportiva da 16.800 posti a sedere sempre esaurita su più servizi. Joel Osteen, il pastore-sorriso, è visto in TV e online da milioni di persone in tutto il mondo ogni settimana (si stima un’audience televisiva e digitale potenziale fino a 200 milioni di persone raggiunte. L’omelia domenicale del vero Papa non ci si avvicina nemmeno per capirsi).
Parliamo di numeri da network televisivo, altro che “messa delle 11 su TelePace o RadioMaria”. Le donazioni? Lakewood ha appena finito di pagare un mutuo da 100 milioni di dollari per la ristrutturazione del suo complesso, interamente grazie alle offerte dei fedeli. Avete letto bene: 100 milioni raccolti tra i fedeli come niente fosse, tanto che Osteen sul palco ha strappato simbolicamente il documento del debito davanti alla folla in tripudio (uno show pure quello). Il budget annuale di Lakewood è nell’ordine delle decine e decine di milioni; praticamente una grande azienda.
- Saddleback Church (Rick Warren) – California: Fondata nel 1980, è cresciuta a dismisura. Oggi conta 54.000 membri registrati e prima del Covid aveva oltre 28.000 partecipanti ogni fine settimana sparsi in 16 campus negli USA e 4 internazionali. Notate: modello multi-sede, come le catene retail che aprono filiali. Rick Warren, fino al recente pensionamento, era il “volto” del brand. Il suo libro “The Purpose Driven Life” (“Una vita guidata dallo scopo”) ha venduto oltre 50 milioni di copie nel mondo, diventando uno dei libri cristiani più venduti della storia e portando il messaggio di Saddleback ovunque (e creando introiti notevoli, che Warren ha reinvestito in ministero e carità, applicando persino una “decima al contrario” – tenendo per sé solo il 10% e donando il resto). Quindi non solo tanta gente in chiesa, ma un brand content (il libro) che diventa bestseller globale – altro che i tomi teologici di Ratzinger o Bergoglio che leggono in 4 gatti.
- Altre megachurch degne di nota: Ci sono più di 1.600 megachurch negli USA. Alcune note: Willow Creek (Chicago), pioniera del modello “seeker-friendly” (attirare i non religiosi con format accattivanti); Hillsong (nata in Australia ma fortissima anche in USA), famosa per la musica moderna da classifica; Elevation Church (North Carolina) con il pastor Steven Furtick, giovane e molto social; Life.Church (Oklahoma), avanguardista nell’online (hanno creato la Bibbia in app più scaricata al mondo). Tutte accomunate da grandi numeri: decine di migliaia di presenti, bilanci milionari, influenza internazionale.
Questi numeri dicono una cosa: hanno trovato un messaggio e un formato che “vende”. Dove “vendere” non deve suonare blasfemo: intendiamoci, parliamo di convincere la gente a partecipare, donare, essere entusiasta. Customer satisfaction altissima: i fedeli di queste chiese non solo vanno ogni domenica, ma spesso anche in gruppi durante la settimana, comprano i libri del pastore, donano il 10% del reddito (la decima) con gioia, fanno volontariato, invitano amici (passaparola efficace). In termini di marketing, hanno costruito tribù fedelissime, brand ambassador spontanei.
Prediche come VSL, pastori come brand: strategie di marketing a risposta diretta
Ma come fanno concretamente? Quali strategie di marketing usano queste chiese per attirare e trattenere il “cliente” (il fedele)? Qui viene il bello, perché sembra di leggere un manuale di marketing a risposta diretta applicato alla religione. Sono anni che insegno le stesse cose alle aziende: chiamata all’azione chiara, linguaggio semplice, uso massiccio di media, funnel di coinvolgimento. Vediamo alcuni elementi chiave:
- Prediche formato VSL (Video Sales Letter): Avete presente quei video su internet dove un tizio vi racconta una storia toccante, vi aggancia emotivamente, vi mostra il problema (il vostro vuoto interiore, per esempio) e poi vi “vende” la soluzione (in questo caso, Gesù, la fede, la preghiera)? Chi di noi non ha amato lo Chef Tony e i suoi coltelli miracolosi?
Ecco, molti sermoni delle megachurch seguono questa struttura. Joel Osteen è maestro in questo: inizia sempre con una barzelletta o aneddoto per catturare l’attenzione (pattern interrupt, diremmo noi copywriter), poi passa a una storia di vita vissuta, poi introduce un versetto biblico come “prodotto”, lo applica alla vita quotidiana (“Dio vuole che tu abbia successo, che tu diventi un campione.”), ti convince che puoi avere una vita migliore cambiando atteggiamento (call to action spirituale), e chiude invitandoti a pregare e tornare la prossima settimana.
È un copione collaudato: focalizzato sui benefici per l’ascoltatore (vuoi essere felice? vuoi superare i problemi? ecco come Dio ti aiuta). Notate: centrato sul cliente, non sull’istituzione. Questa è la Legge del Focus sul Cliente: parlano alla vita delle persone, non fanno discorsi astratti. Rick Warren, già negli anni ’80, diceva ai suoi: “Parlate dei problemi delle persone: bollette da pagare, stress, figli da crescere. La Bibbia ha risposte pratiche”. È marketing 101: individua il pain point e offri la soluzione.
- Uso massiccio di TV, radio, web: Queste chiese investono tantissimo nei media. Televisione: Osteen viene trasmesso in centinaia di emittenti, a orari strategici. Negli anni ’80, i telepredicatori compravano spazi su tv locali e satellitari come infomercial. Oggi c’è anche YouTube, social, streaming sul sito: ogni mezzo è buono per essere presenti h24. Radio: in USA esistono stazioni cristiane, e programmi dei pastori noti vanno in onda quotidianamente (mini-sermoni, riflessioni, spesso con un invito a fare qualcosa, tipo ordinare un libro o visitare la chiesa).
Internet & social: qualunque megachurch ha un sito curatissimo, account social aggiornati con frasi motivazionali, video brevi che vengono condivisi. I pastori star sono degli influencer: Joel Osteen su Instagram posta aforismi e foto con sorrisoni e ha milioni di follower. In pratica, incontrano il pubblico dove questo si trova (legge del medium: se il tuo target sta su Facebook alle 22:00, tu devi comparire lì, non aspettarlo sul sagrato alle 8:00 di Domenica!).
- Direct mail e funnel di coinvolgimento: Questo è meno visibile all’esterno, ma c’è. Molte di queste organizzazioni raccolgono i contatti dei partecipanti e simpatizzanti. Se guardi un programma TV di un telepredicatore, spesso c’è un numero da chiamare o un sito da visitare “per ricevere una preghiera speciale” o un opuscolo omaggio. Appena lasci i tuoi dati, entri nel funnel: ti mandano newsletter, magari un piccolo regalo (un rosario protestante, un libricino motivazionale gratis), poi ti chiederanno una donazione una tantum, poi di diventare sostenitore mensile (“Partner del ministero”) con addebito ricorrente.
Ti inviteranno a eventi speciali, conferenze, crociere cristiane con il pastore (non scherzo, alcune chiese organizzano viaggi tematici). È puro direct marketing segmentato.
Legge dell’Engagement Continuo (non di Al Ries, ma di Dan Kennedy): mai lasciar raffreddare il lead. Il parroco aspetta che tu torni quando vuoi; il “pastore del marketing” ti rincorre educatamente via email, posta e whatzapp.
- Eventi live stile seminario motivazionale: Oltre ai culti domenicali, organizzano grandi eventi in giro per il Paese (e oltre). Joel Osteen fa i “Night of Hope” in stadi: serate con musica, testimonianze e la sua predica, riempiendo arene da 50.000 posti. Rick Warren ha fatto campagne globali come i “40 giorni di scopo”, coinvolgendo migliaia di chiese collegate.
Questi eventi sono come i roadshow di un brand: tengono alta l’attenzione, attraggono nuovi interessati (che magari non andrebbero in chiesa la domenica ma a un evento speciale sì), generano copertura mediatica, e portano entrate extra (biglietti, offerte, vendita di libri e merchandise sul posto – perché sì, c’è pure il banchetto gadget/libri come a un concerto rock).
- Branding personale del pastore: Questo è cruciale. Se la Chiesa Cattolica enfatizza l’istituzione (il parroco è sostituibile, la comunità è di Cristo, ecc.), le megachurch personalizzano il brand attorno al leader carismatico. Joel Osteen è Lakewood, Rick Warren era Saddleback. Il pastore diventa una celebrity, con tanto di nome in copertina di libri più grande del titolo, apparizioni a Oprah o CNN come “esperto di vita”, ecc. Questo è branding 101: le persone si fidano delle persone, non dei loghi.
Un volto rassicurante, una storia personale (spesso raccontano di come Dio ha trasformato la loro vita – origin story del founder), una famiglia esemplare in vista (mogli co-pastore, figli coinvolti, per dare immagine di team family).
La Legge del Nome (non delle 22, ma sappiamo che per Al Ries avere un nome forte conta): “Joel Osteen” come nome è un asset che attira pubblici ben oltre Houston. È come avere un CEO star che traina l’azienda (pensa a Steve Jobs con Apple). Certo, comporta anche un rischio: se il leader sbaglia o cade in scandalo, il brand soffre (lo si è visto con scandali di altri telepredicatori negli anni ’80 e ’90). Ma chi applica bene le leggi del marketing tende a mitigare questo rischio con team e governance (o almeno, con buona immagine pubblica...).
- Content is king: Le chiese USA producono contenuti a getto continuo. Non solo sermoni: blog, podcast, libri, musica (Hillsong ha rivoluzionato la musica cristiana moderna – lancio di prodotto complementare ben riuscita, perché coerente col brand giovane e adorazione emotiva).
Molte chiese hanno proprie case editrici e discografiche. Ogni contenuto è un touchpoint col “cliente” potenziale. Rick Warren addirittura elaborò un programma di church growth che “vendette”/condivise con altre chiese (seminari per pastori su come crescere, replicando il modello Saddleback) In pratica Metodo Merenda per chiese e non per PMI. Ha creato una categoria (Legge della Categoria) chiamata “Chiesa guidata dallo scopo (Purpose driven church)” e se n’è fatto leader riconosciuto.
Riassumendo, queste chiese applicano un marketing mix completo:
- Prodotto adattato al target: culto dinamico, messaggio positivo, servizi aggiuntivi (asilo durante il culto, parcheggi enormi, caffetteria interna). Come diceva Warren già nel 1989: “I baby boomers verrebbero in chiesa se ci fosse la loro musica, se il pastore parlasse di problemi reali come pagare i conti, lo stress… e cosa dice la Bibbia per aiutare”.
Loro hanno fatto esattamente questo. Hanno ricercato il target (“Saddleback Sam”) e adattato il servizio. Hanno perfino tolto simboli che potevano disturbare: Warren non esibiva il nome “battista” per non alienare chi aveva pregiudizi, e niente crocifissi macabri in vista, ambienti più simili a teatri che a chiese gotiche.
Legge del Posizionamento: si sono posizionati come “la chiesa per chi non ama la chiesa” – un bel paradosso vincente, simile a quando un’auto si propone come “il SUV per chi odia i SUV” e conquista un nuovo pubblico.
- Promozione aggressiva: già negli anni ’80 Saddleback inviava 35.000 brochure cartacee a tappeto con testimonianze di convertiti, comprava pagine sui giornali locali con titoli acchiappa-attenzione (“La tua vita corre troppo? Vieni a vedere…” ecc.). Questo è marketing diretto classico. Oggi lo fanno via social ads e SEO, ma il concetto rimane: farsi conoscere attivamente, non aspettare che la gente “nasca cattolica”.
- Community & Customer care: Molte attività settimanali, gruppi per fascia d’età, per interessi (sport, hobby), ministeri per sostenere chi è in difficoltà (aiuti concreti). La persona sente: “Qui c’è una famiglia per me”. Se manchi qualche domenica, qualcuno ti chiama: “Tutto ok fratello? Ci sei mancato!”.
Altro che la parrocchia dove se salti messa nessuno se ne accorge. È cura del cliente post-acquisizione. E funziona: crea retention e cross-selling (oggi sei nel gruppo biblico, domani magari aiuti in quello dei volontari, più coinvolgimento).
- Focus su messaggi semplici e positivi: Legge dell’Attributo: se la Chiesa Cattolica per secoli ha puntato su “verità e dovere” (spesso percepito come severità), questi puntano su “amore e successo”. Osteen possiede la parola “hope” (speranza) nella mente di chi lo segue. Quando pensi a lui, pensi a incoraggiamento e motivazione spirituale. È riuscito a possedere un concetto specifico (hope/positivity) rispettando in pieno la Legge del Focus.
Un’altra: Hillsong possiede “preghiera in musica trendy” – i giovani la associano a musica bella da ascoltare anche fuori dalla chiesa. Ogni megachurch vincente ha un posizionamento chiaro: chi la guarigione miracolosa (alcune pentecostali puntano su guarigioni), chi la prosperità economica tramite la fede (il cosiddetto “prosperity gospel” di cui Osteen viene accusato, ossia “Dio ti benedice anche nei soldi se credi e doni”).
Quest’ultimo è controverso ma attrae: tocca l’aspirazione della gente a stare bene. È innegabile che dica ciò che la gente vuole sentirsi dire. Forse poco evangelico in senso tradizionale? Si può discutere, ma qui analizziamo efficacia: e dal punto di vista del customer appeal, dire “Dio vuole che tu abbia una vita abbondante e felice” vende più che dire “Prendi la tua croce e segui Gesù nel sacrificio”. Scusa Don, ma è così.
Legge dell’Oggetto vs. Soggetto: vendono il beneficio (soggettivo) non l’oggetto in sé (la dottrina dura).
Potresti dire: “Ma allora questi evangelici “vendono l’anima al marketing”, è tutta fuffa?”.
Non proprio – molti ci credono sinceramente e aiutano molta gente. Ma è innegabile che usano tecniche di persuasione che potrebbero essere prese dai manuali di Dan Kennedy, dai libri di Cialdini, dalla preeminenza di Jay Abraham e dal mio Circolo degli Imprenditori:
reciprocità (ti do materiale gratuito – libretto, caffè gratis – tu poi ti senti di donare),
impegno e coerenza (dichiari pubblicamente la fede, magari col battesimo scenografico – poi vuoi esser coerente e resti),
riprova sociale (stadium pieno: “wow, se sono in 50.000 deve valere la pena!”),
autorità (pastore presentato come Dott. in teologia o autore bestseller),
simpatia (pastore amichevole, telegenico),
scarsità (campagne tipo “solo per questo mese raccogliamo offerte per X causa, affrettati a partecipare alla benedizione”).
C’è tutto, signori.
E soprattutto rispettano la Legge dell’Accelerazione: hanno costruito su trend veri (ricerca di spiritualità personalizzata, desiderio di comunità in un mondo individualista, bisogno di messaggi positivi in un’epoca di incertezza). Non è una moda passeggera, è una risposta a esigenze reali, quindi il successo è solido.
La Legge delle Risorse poi la conoscono bene: sanno chiedere soldi e investono in infrastrutture, media, staff qualificato (Lakewood ha centinaia di dipendenti tra tecnici, amministrativi, pastori associati). Reinvestono tutto per crescere ancora – un circolo virtuoso.
In breve, le chiese protestanti americane di successo hanno rispettato molte delle 22 leggi del marketing anche senza saperlo: focus, percezione (hanno capito la percezione negativa delle chiese tradizionali e l’hanno ribaltata), categoria (creato un nuovo modo di essere chiesa), messaggi semplici (possedere una parola: speranza, scopo, guarigione, ecc.), sacrificio (hanno tagliato via formalismi e teologie complesse per puntare sull’essenziale percepito dal pubblico), e soprattutto orientamento al target.
Hanno fatto indagini di mercato (Rick Warren andò porta a porta per anni a fare sondaggi prima di aprire la chiesa!), hanno definito il loro avatar di cliente ideale (“Saddleback Sam”) e costruito un’offerta su misura, come farebbe un bravo marketer prima di lanciare un prodotto. Se non è genio questo…
3. Confronto e conclusioni: David, Golia e le lezioni per i marketer
A questo punto il confronto è lampante:
- Da una parte la Chiesa Cattolica, Golia con duemila anni di storia che però oggi barcolla, con chiese vuote e strategie comunicative spesso inefficaci, un colosso che ha perso la bussola del marketing.
- Dall’altra, una miriade di “piccoli” Davide (le chiese evangeliche) che, forti di idee chiare e di un marketing intelligente, stanno conquistando cuori (e portafogli, inevitabilmente) dei credenti moderni.
È ironico e un po’ provocatorio dire che la Chiesa Cattolica dovrebbe andare a scuola di marketing dai predicatori americani, ma i fatti suggeriscono proprio questo. Attenzione: non sto dicendo che deve vendere indulgenze su Instagram o fare i balli di TikTok col Vangelo in sottofondo (anche se qualche prete già ci prova…). Sto dicendo che ci sono principi universali di comunicazione e strategia da cui il Vaticano & Co. avrebbero solo da imparare.
Vediamo alcune lezioni chiave, in modo discorsivo e diretto, quasi fosse un corso di formazione per imprenditori (perché il nostro lettore magari è un marketer che vuole spunti sia dal successo che dal fallimento):
Perché la Chiesa Cattolica ha perso la bussola (del marketing)
1. Ha confuso l’arroganza da monopolista con fedeltà alla missione. Per secoli la Chiesa non ha dovuto fare marketing: era l’unica opzione religiosa in città, la gente ci andava per tradizione. Questo l’ha resa pigra e cieca. Quando il mercato è cambiato (secolarizzazione, pluralismo), non ha reagito.
Lezione per imprenditori: Mai dare per scontato la propria quota di mercato. Se domini oggi, preparati al cambiamento domani o sarai Kodak col digitale. La Legge del Successo dice che il successo genera ego e cecità : la Chiesa ne è l’esempio lampante. Si è cullata nei numeri del passato, arrivando tardi (o mai) a innovare.
2. Mancato focus e posizionamento debole. Chiedi a 10 persone cos’è la Chiesa Cattolica per loro e avrai 10 risposte vaghe e spesso negative (“il Vaticano ricco”, “quelli contro l’aborto”, “i preti pedofili”, “la messa noiosa”, “Papa Francesco bravo perché aiuta i poveri” ecc.). Il brand è frammentato.
Lezione: Se il tuo brand significa troppe cose (o peggio, ha macchie reputazionali), devi rifocalizzare e riposizionare urgentemente. Apple negli anni ’90 era su mille prodotti e stava morendo; Jobs tornò e tagliò tutto per concentrarsi su pochi prodotti iconici, ricostruendo il focus (“Think Different”).
La Chiesa avrebbe bisogno di un “Jobs” del marketing che dica: qual è il nostro core incontrastabile? Non sono un teologo ma magari la figura di Gesù e il messaggio spirituale profondo? Ecco, bisognerebbe comunicare quello in modo nuovo, senza disperdersi in mille temi socio-politici dove peraltro altri come i politici, i sindacati, gli attivisti sono più bravi a farsi sentire.
3. Comunicazione non orientata al pubblico. Ancora troppe omelie parlano un gergo che la gente non capisce o non sente rilevante. La Chiesa comunica spesso dall’alto verso il basso, come un professore noioso.
Lezione: Conosci il tuo pubblico, parla la sua lingua, indirizza i suoi bisogni. Un imprenditore che non conosce i clienti fallisce; un parroco che non conosce la sua comunità anche (ma magari se ne accorge dopo 30 anni quando la chiesa è vuota).
Ricerca di mercato e customer insight non sono il demonio, anzi. Warren che fa interviste porta a porta prima di fondare la chiesa: genio. Perché un vescovo non potrebbe fare lo stesso nel suo quartiere? (Magari incognito, tipo Boss in Incognito, a sentire cosa pensano davvero della parrocchia...).
4. Niente call-to-action, niente coinvolgimento attivo. Il modello cattolico è spesso passivo: vieni, siedi, ascolti, ciao. Le chiese USA ti fanno compilare la scheda contatto, ti coinvolgono subito in un gruppo, ti invitano all’evento, ti fanno sentire parte di qualcosa.
Lezione per marketer: coinvolgi i tuoi clienti, crea community attorno al tuo prodotto. Se vendi integratori, fai un gruppo Facebook di supporto fitness. Se hai un software, organizza webinar Q&A. La Chiesa dovrebbe chiamare le persone all’azione: non solo “andate in pace” ma anche “settimana prossima venite che facciamo X”, costruire piccoli impegni crescenti per legare la gente. Invece, l’impressione è che se vai o non vai sia uguale. Zero senso di urgenza o importanza percepita.
5. Gestione della crisi pessima (scandali). Qui la lezione è dura ma chiara: Legge del Candore. Quando sei nei guai, ammetti e mostrati proattivo. La Chiesa l’ha fatto tardi e a metà. Risultato: perdita di fiducia in blocco.
Per un’azienda, nascondere un difetto di un prodotto può distruggerla se poi viene fuori lo scandalo. La sincerità e il rapido rimedio pagano. Un imprenditore deve essere onesto con il proprio pubblico nei momenti difficili, altrimenti addio reputazione. La Chiesa sta ancora ricostruendo faticosamente la fiducia dopo gli scandali degli abusi, ma molti “clienti” l’hanno già mollata disgustati.
In poche parole, la Chiesa sembra quel gigante che viola sistematicamente le leggi del marketing: non capisce la percezione, non ha focus, non sacrifica nulla (ma perde tutto), non parla la lingua del target, non ammette errori per tempo, non differenzia la propria value proposition nel mondo moderno, e sottovaluta la concorrenza (che non è solo evangelici: è l’aperitivo, la partita, Netflix, le gite – tutte cose che competono per il tempo della domenica mattina della gente!). Risultato: il “mercato” la punisce.
Perché le megachurch USA sono vincenti (e cosa insegnano ai marketer)
Dall’altro lato, cosa imparare dai vincenti (oltre a quanto già descritto prima)?
1. Conosci il tuo cliente ideale e modellati su di lui. Rick Warren ha creato “Saddleback Sam”, un profilo dettagliato del suo target (età, lavoro, interessi, obiezioni verso la chiesa) e ha costruito tutto attorno a lui. Questo è puro marketing strategico. Lezione: Ogni business dovrebbe definire il proprio buyer persona in modo così chiaro da poter quasi conversare con lui. E poi fargli un’offerta su misura. Le megachurch insegnano: non esiste chiesa per tutti, esiste chiesa per quel target specifico (giovani famiglie suburbane, nel loro caso). Così come non esiste prodotto per tutti: scegli la nicchia e dominala (Legge della Leadership di nicchia).
2. Differenziati dal concorrente principale evidenziandone le debolezze. Questo è classico: Legge dell’Opposto. Le megachurch all’inizio hanno vinto perché erano l’opposto della chiesa tradizionale: informali, contemporanee, felici vs. formali, vecchio stile, serie. Hanno colto l’opportunità di mercato: milioni di americani credevano in Dio ma odiavano la chiesa noiosa (“crede in Dio ma non va più a messa sin da quando era bambino” era la descrizione di Saddleback Sam). Hanno offerto un’alternativa.
Lezione per imprenditori: studia il leader del mercato e proponiti come la scelta alternativa che risolve i suoi difetti. Se il leader è costoso e complicato, tu sarai economico e semplice; se il leader è generalista, tu iper-specializzato; se lui è corporate, tu sei cool e indie. Funziona.
3. Crea una tribù e un senso di appartenenza forte. I fedeli delle megachurch si definiscono “famiglia spirituale”. Hanno gadget, magliette col logo della chiesa, adesivi sull’auto magari. Questa è fidelizzazione emotiva. Lezione: Se riesci a far sentire i tuoi clienti parte di un club esclusivo, li hai conquistati a vita. Pensa ad Harley-Davidson: vende moto ma soprattutto uno stile di vita e una community (raduni, giubbotti con patch), addirittura una community di fanatici al limite del legale come gli Hell’s Angels. Ecco, Saddleback aveva i gruppi piccoli, i ritiri, ecc. Non vendi un prodotto, vendi un’appartenenza.
4. Non aver paura di vendere (in senso buono). I pastori americani chiedono – chiedono partecipazione, chiedono soldi, chiedono impegno. E la gente dà. Molti imprenditori hanno paura di “spingere” troppo. Se credi nel tuo prodotto, devi chiedere al cliente di provarlo, di acquistarlo, di fare quell’azione.
Call-to-action decisa. Certo, va guadagnata (devi aver creato valore e fiducia prima). Ma poi non fare i timidi. La decima in chiesa evangelica è praticamente un upsell “premium subscription” e lo accettano in tanti perché percepiscono il valore che ricevono.
Lezione: Credi nel valore che offri e formula offerte chiare. Chi non chiede, non ottiene.
5. Innovazione continua e uso dei media dominanti. Queste chiese furono tra le prime a usare la TV satellitare, poi internet streaming, ora app e social a manetta. Non stanno mai ferme sul fronte comunicazione.
Lezione: Qualunque sia il trend mediatico o tecnologico, valutalo per tempo e se può portare vantaggi, adottalo prima della concorrenza. Early adopter advantage. Quanti brand sono morti perché non hanno creduto nell’e-commerce? (Blockbuster vs Netflix docet: la Chiesa Cattolica è un po’ il Blockbuster della religione, diciamolo, mentre gli evangelici sono Netflix che all’inizio spediva DVD per posta – innovazione! – e poi è andato online mentre Blockbuster niente).
In soldoni, le megachurch applicano bene la massima: “Marketing = capire il mercato e soddisfarlo”. Hanno capito il loro mercato (persone in cerca di senso e comunità, stanche dei rituali vuoti) e lo hanno soddisfatto con un prodotto religioso nuovo e accattivante. Non hanno paura di definirsi anche in modo imprenditoriale: bilanci trasparenti, obiettivi, strategie di crescita. Anzi, importano tecniche aziendali nel ministero (leadership, marketing training, customer service, ecc.).
In conclusione…
Per un osservatore di marketing, è affascinante (e ironico) vedere come un’istituzione guidata dallo Spirito Santo potrebbe trarre giovamento dallo spirito di Al Ries o dagli insegnamenti di Dan Kennedy e Jay Abraham.
Certo, l’obiettivo finale non è vendere più smartphone ma salvare anime – però se le anime non le raggiungi, non le salvi. Come dice un detto missionario: “Evangelizzare è un mendicante che dice a un altro mendicante dove trovare il pane”. Giusto. Ma se il mendicante 2 non ti ascolta perché urli in latino o perché non ti trova simpatico, non arriverà mai a prendere quel pane.
La sfida per la Chiesa Cattolica, volendo applicare queste lezioni, sarebbe: rinnovarsi senza snaturarsi. Trovare un modo di presentare il proprio “prodotto” (che per chi crede è ben più profondo di un self-help all’americana) in forme che parlino al ventunesimo secolo. Finora, ahinoi, c’è stata molta resistenza interna a farlo – come quell’azienda familiare che dice “abbiamo sempre fatto così”. Ma “così” non funziona più, i numeri lo gridano.
E per gli imprenditori e marketer che leggono? Cosa portarsi a casa da questa strana carrellata religioso-commerciale:
Non smettete mai di ascoltare il vostro pubblico. Se anche un’istituzione apparentemente immutabile può perdere terreno per non averlo fatto, figuriamoci un business nel mercato libero.
Osate creare categorie nuove se in quelle esistenti siete soffocati da leader storici. Innovate nel modello di servizio come le megachurch hanno innovato nel “fare chiesa”.
Focalizzatevi su un messaggio chiaro e semplice, possedete una parola nella mente del cliente (che sia “qualità”, “economico”, “veloce”, quel che è – ma una!).
Ricordate che la percezione è realtà: curare brand e reputazione è fondamentale. Meglio avere un prodotto percepito come il migliore che essere il migliore ma percepito male (la Chiesa ha il “miglior prodotto” secondo la sua fede, ma viene percepito come irrilevante – risultato: nessuno lo “compra”).
Create community attorno al vostro brand. Clienti fedeli equivalgono a fedeli in preghiera: tornano, portano amici, difendono il brand dagli attacchi.
Siate umili nel successo e rapidi nel correggere gli errori. Non date nulla per scontato e se sbagliate, ammettelo subito e fate tesoro della lezione.
Chi l’avrebbe mai detto che la chiesa potesse imparare dal business e viceversa? Eppure, eccoci qui.
Che abbiate da vendere un prodotto, un servizio o – chissà – diffondere un’idea, ricordate che le leggi del marketing, se ignorate, presentano il conto anche ai colossi, mentre se ben applicate possono far fiorire anche ciò che sembrava impossibile. E questo, cari miei, vale in terra… e a quanto pare anche un po’ in cielo. Amen.
PS: E ricordatevi di venire al Kick-Off (la vostra “messa imprenditoriale” almeno una volta ogni sei mesi per rinnovare il vostro “spirito da imprenditore”). Cliccate qui e che Dio vi aiuti se non lo fate 😄
Il parroco aspetta che tu torni quando vuoi; il “pastore del marketing” ti rincorre educatamente
Questa è una delle tante e magnifiche perle di questo articolo o meglio di questo libro!
Le 22 leggi del Marketing, più un paio del maestro Dan, più le leggi dell’attrazione di Cialdini, il tutto sapientemente organizzato e spiegato da Frank.
L’articolo migliore mai letto fino ad ora qui su Substack!
Complimenti a Frank e a tutto il suo staff
Quando ero ragazzino (negli anni 70-80) le chiese brulicavano di ragazzi.
I corsi per fare la comunione e la cresima duravano almeno 2 anni ciascuno ed al termine, i ragazzi confluivano nei "gruppi".
C'erano i gruppi dell' Azione Cattolica, il gruppi nati nella singola parrocchia, il cineforum, i Ciellini. Ed i parrochi delle chiese partecipavano agli incontri. In tal modo si nutriva un ecosistema attorno alla chiesa che la sosteneva.
Non di rado da questi gruppi usciva quello che "sentiva la chiamata" e diventava seminarista.
Oggi i preti che gestiscono le chiese sono diventati simili a degli "impiegati pubblici"; vogliono fare le loro attività di routine, le 2 o 3 messe al giorno, qualche confessione e poi chiudere le porte e stare "in pace".
Non vogliono più né creare né seguire i gruppi.
La tua analisi impietosa della chiesa Cattolica, Boss, è perfetta.