Moreno Bonechi: Frank, la bevanda Prime di Logan Paul e KSI è passata da fenomeno mondiale a flop commerciale in pochissimo tempo. Prima introvabile – ragazzini in delirio, scaffali svuotati – e ora vendite a picco.
Da esperto di marketing, come spieghi questa parabola ascendente e discendente? Cosa ha reso Prime un successo iniziale così clamoroso?
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Frank Merenda: Ciao Moreno e ciao a tutti i nostri affezionati lettori. E anche a coloro che si sono appena iscritti. Guardiamo i fatti e cerchiamo di essere concreti e diretti come piace a me. Il boom iniziale di Prime è stato costruito sul hype e sulla scarsità artificiale.
Logan Paul e KSI hanno un seguito enorme (parliamo di decine di milioni di fan globalmente) e hanno trasformato quella fanbase in acquirenti famelici. Come?
Creando urgenza e FOMO (fear of missing out, la paura di “rimanere fuori” o “perdere il treno”). Prime all’inizio era introvabile: poche bottiglie in giro e tanta domanda. Risultato? Gente in fila all’alba davanti ai negozi, scene di panico per accaparrarsi una bottiglia, e addirittura lotti rivenduti su eBay a cifre folli – si parla di “migliaia di sterline” per una singola bottiglia.
Non solo in USA ma anche in UK c’erano minimarket che la mettevano sugli scaffali a 18£ a bottiglia (contro un prezzo di listino di 2,99£) e vendevano lo stesso! Quando la offri col contagocce, la gente la percepisce come oro liquido. È marketing base: meno ce n’è, più la vuoi.
E i due creator questo l’hanno cavalcato benissimo. In pochi mesi Prime è diventata una mania virale su TikTok e YouTube: sfide a chi la trovava, collezione di tutti i gusti colorati come fossero figurine. I numeri parlano chiaro: in meno di un anno hanno venduto 54,6 milioni di litri di Prime solo nel mercato inglese, incassando circa 131 milioni di £.
Roba da far tremare concorrenti storici! Pensa che la scorsa estate Prime si era presa oltre il 40% delle vendite di tutte le bevande sportive nel Regno Unito – una quota pazzesca per un marchio nato da zero. Insomma, all’inizio Prime era il fenomeno del momento, spinto dalla celebrità dei fondatori e dall’isteria da scarsità. Un mix esplosivo, nel bene… e come vedremo, nel male.
Moreno Bonechi: Oltre al calo di vendite, Prime negli USA ha avuto anche grane legali e interventi delle autorità. Di che tipo di problemi stiamo parlando?
Frank Merenda: Qui Prime ha collezionato più rogne che bottiglie vendute, lascia che te lo dica chiaro. Sul fronte legale ci sono cause collettive pesantissime: accusano la Prime Hydration di contenere sostanze chimiche tossiche (i famigerati PFAS, i “forever chemicals”) e la Prime Energy di avere livelli di caffeina pericolosamente alti per i ragazzi.
In pratica, dicono che l’azienda ha fatto la furba nascondendo questi rischi ai consumatori. Capirai che i genitori americani sono saltati sulla sedia: c’è stato perfino un caso di un bambino che avrebbe avuto un malore cardiaco dopo aver bevuto Prime Energy – notizia che ha fatto il giro dei media.
Risultato? Senatori che si indignano in TV. Chuck Schumer, uno che non le manda a dire, ha bollato Prime come “una seria minaccia per la salute dei bambini a cui si rivolge” e ha chiesto ufficialmente alla FDA di indagare. L’FDA si è messa a esaminare il prodotto e sono saltati fuori dati assurdi: ogni lattina di Prime Energy contiene 200 mg di caffeina, come sei Coca-Cola o quasi due Red Bull.
Capito? Una bomba di caffeina travestita da bibita per ragazzini. E non parliamo solo degli Stati Uniti: in Canada le autorità sono passate direttamente all’azione proibendo Prime Energy nei negozi, perché supera i limiti legali di caffeina per singola porzione.
Addirittura richiamata dal mercato canadese! In sintesi, tra class action per ingredienti nocivi e indagini governative per la caffeina alle stelle, Prime negli USA è passata dall’essere la bevanda “cool” del momento a un prodotto sotto assedio nei tribunali e sui tavoli dei regolatori.
Moreno Bonechi: Immagino che tutto questo bailamme abbia avuto conseguenze sulla percezione dei consumatori. Come hanno reagito gli americani a queste notizie e scandali su Prime?
Frank Merenda: Malissimo, come possiamo immaginare. L’aura di bibita miracolosa si è infranta rovinosamente. I consumatori – soprattutto i più giovani e i loro genitori – si sono sentiti presi in giro. Prima i ragazzini facevano carte false per una bottiglia di Prime da sfoggiare su TikTok; ora molti genitori gliela vietano come fosse veleno e gli stessi ragazzi hanno perso interesse, perché il giocattolo non è più trendy.
La reputazione del marchio ha preso una batosta: da bevanda dei campioni di YouTube a esempio da non seguire. Quando un prodotto passa in TV più per cause legali e ritiri dal mercato che per pubblicità, hai un serio problema d’immagine.
Molte scuole all’estero l’hanno bandita e negli Stati Uniti i punti vendita hanno iniziato a metterla sotto chiave e a verificare l’età all’acquisto – scene già viste con le sigarette elettroniche. In pratica Prime è diventata il cattivo della storia agli occhi di molti consumatori americani.
L’entusiasmo virale si è sgonfiato di colpo, complice anche tutto questo caos legale che ha smascherato parecchie esagerazioni di marketing. E si sa: la fiducia persa è difficile da recuperare: negli USA ora come ora la gente associa Prime più a rischi e polemiche che al gusto o ai benefici tanto decantati.
Moreno Bonechi: E i concorrenti? Marchi storici come Gatorade o emergenti come BodyArmor – per non parlare dei big degli energy drink tipo Monster e Red Bull – come hanno reagito di fronte al declino di Prime? Ne hanno approfittato?
Frank Merenda: I concorrenti se la ridono sotto i baffi, garantito. Gatorade e compagnia mica si sono fatti intimidire sul serio dall’hype di Prime – non per niente Gatorade domina ancora con circa 60% del mercato americano delle bevande sportive.
Loro conoscono le regole del gioco e sanno che non puoi barare sui fondamentali troppo a lungo. Infatti PepsiCo (che controlla Gatorade) ha continuato a spingere i suoi prodotti senza panico. Coca-Cola dal canto suo ha integrato BodyArmor nel suo portafoglio e ha proseguito dritta: alla fine dell’anno, i dati di mercato mostrano che Gatorade e BodyArmor hanno proseguito imperterriti, mentre Prime si è beccata un tracollo oltre il 20%. Che è ulteriormente tracollato in questi primi mesi del 2025.
In altre parole, i grandi marchi hanno tenuto botta e ora si stanno riprendendo le quote di mercato che la “meteora” Prime gli aveva strappato durante il boom. E veniamo ai colossi dell’energy: Red Bull e Monster.
Quelli stanno seduti sul trono a guardare la battaglia dall’alto. Red Bull fa vendite col pilota automatico (parliamo di quasi metà del mercato US degli energy drink in mano sua) e Monster subito dietro – parliamo di aziende abituate a ben altri livelli di concorrenza.
Quando hanno visto Logan Paul e KSI farsi avanti, non hanno perso il sonno: sapevano che molti politici e genitori avrebbero puntato il dito su Prime per la storia dei bambini, il che per loro è quasi un vantaggio competitivo d’immagine. Il senatore Schumer stesso ha sottolineato che, a differenza di Prime, Red Bull almeno non è pensata per i minorenni. Ti rendi conto?
Un senatore USA che praticamente tesse le lodi (implicite) di Red Bull pur di affossare Prime – un assist incredibile per i leader di mercato! Quindi sì, i concorrenti hanno sentito l’odore del sangue nell’acqua: hanno visto Prime incasinarsi da sola e ne hanno approfittato per riguadagnare terreno.
Gatorade continua a essere il re indiscusso degli sport drink, BodyArmor si ritaglia la sua fetta, Monster e Red Bull restano i padroni incontrastati degli energy drink.
In sintesi, i competitor tradizionali escono da tutta questa storia più forti (o meno indeboliti) di prima, mentre Prime sta a fare da monito sullo scaffale delle offerte.
Moreno Bonechi: Già, perché dopo l’ascesa è arrivato il tracollo. Ora Prime sembra passata di moda, con le bottiglie invendute che languono sugli scaffali. Ho letto di bottiglie svendute a pochi centesimi. Cos’è andato storto? Perché le vendite di Prime sono crollate così in fretta?
Frank Merenda: La caduta di Prime è stata veloce quasi quanto la sua ascesa – ed era prevedibile, col senno di poi certamente ma anche con un’analisi dei principi del marketing e in particolare del posizionamento di marca.
Hanno costruito un castello sul hype, e quando l’hype sparisce ti rimane sabbia tra le dita. In pratica sono finiti gli effetti della scarsità: appena la distribuzione è aumentata e Prime si è trovata dappertutto, non era più “speciale”.
Dal “troppo poca” sono passati al “troppa, ovunque”. E sai che succede? La magia svanisce.
I ragazzini che facevano a pugni per comprarla qualche mese prima ora la vedevano in ogni supermercato e sbuffavano: “ah ok, un’altra bevanda qualsiasi”. Senza la rarità, è mancato il motivo per fare la fila.
Inoltre la moda è passata. Il target iniziale – adolescenti e pre-adolescenti – è volubile: oggi urla per Prime, domani per un altro trend su TikTok. Non c’era sostanza, un reale posizionamento davvero unico e irripetibile per fidelizzarli oltre la novità del momento.
Molti l’hanno provata una volta per curiosità e basta. Ti ricordi quando ho parlato di BOEM di Fedez? Ecco, un caso simile ma almeno qui la bevanda l’hanno provata. Lì nemmeno quello.
Ma anche qui, come tutte le collezioni di figurine: una volta completata la serie di gusti colorati, il gioco è finito. Un dettaglio racconta bene il crollo: da picco di mania assoluta sono arrivati al punto che i negozi hanno dovuto svendere Prime a 31 pence (circa 35 centesimi di euro) a bottiglia – parliamo di sconti dell’87% sul prezzo originale. Roba da mercatino dell’usato, altro che prodotto di tendenza.
E anche così, sugli scaffali rimanevano pile di bottiglie invendute. Un retailer britannico ha detto chiaramente: “L’abbiamo venduta bene per un po’, poi a inizio 2024 è andata a picco… l’abbiamo eliminata, era un articolo da moda passeggera”.
Capito? Novità di passaggio, non un business solido. I numeri confermano questo tonfo: nel primo trimestre 2024 Prime ha fatturato solo 12,8 milioni di sterline in UK, meno della metà dei 26,8 milioni di sterline dello stesso periodo dell’anno precedente.
Un calo di quasi il -52% anno su anno. E su base annua è anche peggio: rispetto al 2023 si stima una perdita di valore di oltre 63 milioni di sterline, con i volumi in calo del -32,6% (cioè 8,8 milioni di litri in meno venduti). È il peggior crollo registrato da qualsiasi brand alimentare o bevanda nell’ultimo anno sul mercato UK. Altro che crescita infinita.
E se qualcuno se lo stesse chiedendo, insisto a parlare di UK perché in area europea è il mercato più simile a quello USA, con modalità, tempistiche e reazioni quasi identiche nel recepire ma anche nel rigettare le novità. Non come da noi in Italia dove le novità USA ancora oggi arrivano in ritardo di almeno 5 anni quando va bene, quindi alcuni fenomeni no fanno nemmeno in tempo ad arrivare che sono già falliti in madrepatria.
Comunque perché questo crollo verticale? Oltre alla fine dell’effetto novità, ci sono stati errori e circostanze che hanno accelerato il declino.
Primo: hanno lanciato Prime Energy, la versione energizzante con caffeina, pensando di ampliare il successo… invece si sono dati la zappa sui piedi. Quel prodotto ha attirato polemiche (caffeina altissima, 200 mg in una lattina piccola – molti genitori allarmati) e ha confuso i consumatori.
C’era gente convinta che anche la Prime “Hydration” normale contenesse stimolanti, facendo di tutta l’erba un fascio. Anche io all’inizio non capivo che razza di bevanda fosse sta Prime finché non ho capito che hanno lanciato una estensione di linea da folli, in pratica appena nati.
Insomma, hanno incasinato il brand: da bevanda per ragazzini è diventata improvvisamente anche una bibita caffeinica non adatta ai ragazzini. Un pasticcio strategico. Qui il nostro maestro Al Ries avrebbe alzato gli occhi al cielo in segno di: “Ma sant’iddio come devo fare a farvi capire le cose?”.
E comunque Prime Energy è stato un flop colossale: vende poche centinaia di migliaia di sterline al mese (circa 526mila sterline), briciole pari allo 0,3% del mercato energy drink – praticamente niente, a fronte di colossi come Monster o Red Bull che fatturano miliardi. Quindi l’estensione non solo non ha aiutato, ma ha fatto danni.
In parallelo ci si sono messe pure critiche e scandali. Negli USA Prime ha beccato due cause legali collettive: una per aver dichiarato meno caffeina di quella realmente presente nelle lattine (accusa di etichetta ingannevole) e un’altra per la presenza di PFAS, le cosiddette “forever chemicals”, cioè quelle sostanze che non si degradano col tempo e che si sono dimostrate pericolose per l’ambiente e l’uomo, nella bevanda.
Non entro nel merito legale, ma capisci che passare dai titoli “Bevanda dei record” ai titoli “Bevanda sotto accusa” ammazza la reputazione. Logan Paul ha liquidato le cause come “assolute stronzate” su TikTok, ma intanto il dubbio nei consumatori resta. Tutto questo ha eroso ulteriormente la fiducia nel brand.
Infine, diciamolo chiaro: è mancata qualsiasi strategia di lungo termine. Una volta esaurito l’hype iniziale, non avevano un piano solido di marketing posizionante.
Niente campagne di branding serie, niente innovazione di prodotto significativa (a parte buttar fuori nuovi gusti zuccherosi). Hanno pensato che bastasse la fama online a tenere vivo il fuoco. Hanno inondato il mercato di Prime appena possibile senza un budget o una strategia per mantenerne l’interesse. Questo è dilettantismo.
Nel momento in cui Prime è diventata “disponibile come la Coca-Cola” sugli scaffali di tutti i giorni, si sono trovati a competere con Coca-Cola davvero – e quella è tutta un’altra partita, che non puoi vincere senza fondamenta solide. Il risultato?
I consumatori hanno semplicemente preferito tornare alle solite bevande conosciute. Tra l’altro, il resto del settore non era affatto in crisi: mentre Prime crollava, brand rivali come Monster e Red Bull crescevano a doppia cifra (+10% volumi).
Segno che la gente non ha smesso di bere energy o bevande sportive in generale – ha smesso di bere Prime. Insomma, il crollo di Prime è stato causato dalla combinazione micidiale di fine della moda, errori strategici interni e mancanza di sostanza. Hanno cavalcato l’onda della popolarità… e poi l’onda si è infranta lasciandoli a bocca aperta.
Moreno Bonechi: Parliamo allora di questi errori strategici. Tu spesso citi i principi di marketing di Al Ries. Quali leggi immutabili del marketing sono state violate in questa vicenda? In altre parole, quali regole fondamentali Logan Paul e KSI hanno ignorato con Prime, e come queste violazioni hanno portato alla perdita di valore del brand?
Frank Merenda: Hanno praticamente fatto un manuale di cosa non fare. Ci sono almeno cinque leggi del marketing di Ries & Trout che Prime ha platealmente violato, pagando caro ogni errore. Vado dritto al punto:
1) La Legge della Categoria: “Se non puoi essere il primo in una categoria, crea una nuova categoria in cui essere primo”. Ecco, Prime questo non l’ha capito per niente.
Sono entrati in categorie affollatissime – bevande sportive ed energy drink – dove esistevano già leader storici (Gatorade, Powerade, Red Bull, Monster, ecc). Non erano i primi di nulla, erano un me-too, un prodotto copia ma col volto di un influencer. E questa roba non basta. Mai. Anche se hai milioni di follower.
L’errore grave è non aver definito una categoria nuova dove primeggiare. Avrebbero potuto, che so, posizionarsi come “la prima bevanda funzionale per gamer” (visto il target fan di YouTube) o inventarsi un nuovo segmento.
Invece si sono buttati sul mercato generalista delle bevande funzionali pensando che il loro nome bastasse a rubare quote ai big. Così facendo hanno ignorato la regola: è quasi impossibile spodestare i leader in una categoria consolidata, a meno di avere un posizionamento dirompente.
Prime all’inizio ha vissuto più come fenomeno mediatico che come nuova categoria. Ma quando l’effetto novità è calato, si è ritrovata ad affrontare concorrenti enormi sul loro terreno. E senza più l’onda virale, ha perso.
In sintesi: non hanno mai davvero dominato una categoria distinta – erano “la bevanda degli YouTuber”, punto. E quella non è una categoria sostenibile, è un evento passeggero.
2) La Legge dell’Hype: Al Ries ci ha insegnato che “la situazione è spesso l’opposto di come appare sulla stampa”. Ovvero, quando un prodotto è veramente valido non ha bisogno di un clamore esagerato; se vedi tantissimo hype, spesso significa che c’è poco sostegno reale sotto. Prime è l’emblema di questa legge.
All’inizio era ovunque sui social e sui media: titoloni sul “drink virale del momento”, video ovunque, notizie di bottiglie d’oro rivendute a 1.500$ al pezzo e così via. Un clamore assordante. Sembrava che Prime dovesse conquistare il mondo, ma la legge dell’Hype non perdona: tanto più gonfi le aspettative, tanto più rumoroso sarà lo scoppio della bolla.
E infatti la bolla Prime è scoppiata in meno di un anno. L’ hype iniziale nascondeva il fatto che mancavano basi solide (prodotto realmente differenziato, fidelizzazione, ecc.).
Appena l’attenzione mediatica è calata, il castello di carte è crollato. È proprio come diceva Al: “Quando hai bisogno di hype, di solito sei nei guai”. Prime viveva solo di hype – e appena l’hype è morto, il brand è finito nei guai seri. Non puoi costruire un marchio di lungo periodo solo sul rumore mediatico dei follower: è fumo negli occhi.
Pensa in casa nostra al caso di tutti i prodotti a marchio Chiara Ferragni. Nessuno dei suoi prodotti ha mai avuto una vera ragione di esistere se non essere il prodotto “della tizia dei social”. E al primo scandalo abbiamo visto i suoi prodotti nei discount, i suoi negozi chiudere e le sue attività fallire di colpo. Finito l’hype, finito tutto.
Non per parlarsi addosso, ma quanti “guru” o pseudo-tali di marketing hai conosciuto nel corso degli anni che hanno provato ad entrare nel mercato con autocelebrazioni e dichiarazioni miracolose e roboanti? Quanti novelli geni? Nuovi Elon Musk e novelli Steve Jobs? Gente pronta a rivoluzionare le teorie di Al Ries con la loro mente sopraffina?
Che fine hanno fatto appena si è sgonfiata la loro bolla? Tutti scomparsi, spariti, molti ridicolizzati dagli stessi che gli avevano dato inizialmente credito. E se ci hai fatto caso, più passa il tempo, più questi guru scoppiano velocemente.
Una volta sulla scia di entrare sparando fanfalucche in un mercato creato da noi irretivano persone che potremmo definire “sognatrici” e di riffa o di raffa duravano anche 3 o 4 anni. Ora durano mesi, prima di implodere. E la curva sta accelerando.
Ma non vale solo per gli energy drink, per i prodotti fashion della Ferragni o per la consulenza. Vale ovviamente in ogni settore. Le parole di Al Ries sono e saranno sempre profetiche: “Quando hai bisogno di hype, di solito sei nei guai”. Significa che quando pensi di poter calarti con l’elicottero direttamente in cima alla montagna facendo casino, di solito ti spatascerai al suolo facendoti molto male. L’Everest si scala piano piano, se non muori assiderato mentre lo fai. Non ci si arriva in elicottero. Sembra ovvio, eppure…
3) La Legge dell’Accelerazione: Questa è collegata all’hype ed è cruciale. “I programmi di successo non si basano sulle mode, si basano sulle tendenze”.
In parole povere: se vuoi durare, devi puntare su trend di lungo termine, non su una moda passeggera. Prime invece è stata una moda lampo, una fiammata. Hanno sfruttato l’onda corta della viralità invece di coltivare una marea lunga. Al fa l’esempio: la moda è un’onda visibile ma breve, la tendenza è la marea invisibile ma potente.
Prime era un’onda: enorme visibilità subito, ma durata breve. Pensiamo ai dati: +148 milioni di sterline di vendite aggiuntive nel 2023, poi -50% vendite nel giro di pochi mesi. Questo è tipico di una moda passeggera, non di un trend solido.
Un marchio costruito su un trend (es: il bisogno costante di energia per chi lavora e fa sport, su cui si è basato Red Bull) cresce più lentamente magari, ma in modo consistente e duraturo. Prime invece è esplosa e implosa. La legge dell’accelerazione dice anche un’altra cosa saggia: se ti accorgi che hai in mano una moda, l’unica strategia vincente è smorzarla e cercare di allungarne la durata, trasformandola pian piano in un trend.
Hai presente cosa abbiamo fatto noi? Mentre tutti lanciavano corsi, pozioni magiche, info-prodotti su ogni argomento, marketing, mindset, investimenti, cryptovalute, NFT, metaversi e non da ultimi i corsi per “insegnare l’AI” o vendere “prompt” e chi più ne ha più ne metta, noi come leader di categoria abbiamo “rallentato” la nostra marea.
Ci siamo focalizzati sui nostri eventi ammiraglia e siamo rimasti sui fondamentali solidi e immutabili: trovare clienti, vendite e numeri.
Ci sono stati momenti in cui avremmo potuto letteralmente vendere di tutto, inondare il mercato di ciarpame come hanno fatto altri. Ma abbiamo avuto la “forza morale” di investire nel futuro e rinunciare a denaro facile per costruire un futuro solido.
Cosa hanno fatto invece Logan Paul e soci? L’esatto opposto: hanno alimentato ancora di più la mania iniziale (eventi, nuovi gusti nuovi continui, sovraesposizione, lanci e controlanci per tenere alta l’attenzione, ecc.), bruciandosi tutto subito.
Nessuno ha pensato a rallentare, segmentare il lancio, costruire una base di consumatori ricorrenti. Hanno voluto il boom subito, che hanno ottenuto, senza considerare il dopo. Così Prime è rimasta inchiodata allo status di moda effimera. E le mode, per definizione, passano in fretta. Risultato: un potenziale game over anticipato.
4) La Legge dell’Estensione della Linea: “C’è una pressione irresistibile ad estendere il proprio brand, ma è un errore”. Qui casca l’asino in modo clamoroso.
Prime in pochi mesi ha esteso il marchio ovunque: nuovi gusti a raffica, e soprattutto la creazione della linea Prime Energy (lattine energetiche) oltre alla Prime Hydration (bottiglie senza caffeina).
Hanno perfino iniziato a parlare di fare barrette proteiche, polveri, bevande alcoliche e chi più ne ha più ne metta col marchio Prime. È l’allungamento di linea per eccellenza: prendi un brand di successo in un ambito e lo butti su altri prodotti sperando di ampliare le vendite.
Peccato che funziona raramente o dovremmo dire mai e di certo non ha funzionato qui. Perché? Perché diluisce l’identità del brand. Prime da subito non è stata più chiara: era una bevanda sportiva o un energy drink?
Era per bambini (come pareva inizialmente) o per adulti visto il contenuto di caffeina della versione Energy? Era un integratore salutistico (cocco, vitamine ecc.) o una bibita gassata “spacca cuore” come le altre? Non si capiva più.
Hanno confuso il mercato.
La legge dell’estensione dice: “quando provi ad essere tutto per tutti, inevitabilmente finisci nei guai”, e Prime ne è l’esempio perfetto.
La versione Energy ha fallito (abbiamo detto, solo lo 0,3% di quota mercato, praticamente zero) e in più ha gettato un’ombra sulla versione Hydration. Bastava leggere i commenti preoccupati dei genitori: “non voglio che mio figlio beva quella roba, ha troppa caffeina!” – peccato che magari il figlio beveva solo la bottiglia senza caffeina, ma il danno di percezione era fatto.
Se Logan Paul e KSI avessero seguito Al Ries, avrebbero lanciato un altro marchio per la linea energetica, oppure evitato proprio di entrarci finché Prime non fosse stato ben consolidato.
Invece, accecati dal successo, hanno messo il nome Prime su qualunque cosa. Classico errore di estensione di linea. E ora il brand vale la metà, anche per questo. La lezione? Focus! Meno è meglio. Potevano dominare la nicchia “hydration per Gen Z” se restavano focalizzati; invece hanno voluto allargarsi a dismisura e hanno perso identità.
5) La Legge del Successo: Questa è quasi ironica nel caso di Prime. Ries e Trout affermano: “Il successo spesso porta all’arroganza e l’arroganza al fallimento”. Boom. Ti suona familiare? Hai presente la Ferragni come si sentiva intoccabile grazie alla sua fama, agli agganci in politica quando era sponsorizzata da Conte in periodo COVID per gli appelli alla nazione, la sua apparizione trash ma comunque di rilevanza nazionale a Sanremo ecc…?
Si era convinta di poter fare tutto perché nessuno l’avrebbe mai toccata. Ma la magistratura non sembra essere della stessa idea. E a parte l’esito dei suoi processi, il pubblico ha già deciso. O del caso P.Diddy e delle infinite accuse di molestie sessuali che sbucano ogni giorno? Perché in quel mondo i ricchi e potenti si credono intoccabili e secondo loro gli abusi sessuali devono “far parte del gioco”?
Applica queste cose alla storia di Prime ed è esattamente ciò che è successo.
Il successo lampo ha dato alla testa ai fondatori. Pensavano di aver trovato la gallina dalle uova d’oro e di essere intoccabili. Di poter sovvertire le leggi del posizionamento perché avevano tanti follower sui social. Hanno ignorato i fondamentali del marketing convinti che la loro popolarità bastasse a sfondare sempre.
Questa arroganza si è vista in varie mosse: l’espansione scriteriata di linea di cui parlavamo, l’assenza di un vero piano marketing a partire dal secondo anno (come se il prodotto si vendesse da solo per magia), e una certa spavalderia nel rispondere alle critiche.
Logan Paul che liquida le preoccupazioni sugli ingredienti di Prime dicendo che “sono tutte cazzate” ne è un esempio. Non hanno ascoltato il mercato, non hanno accettato che serviva correggere il tiro – tipico di quando l’ego prende il sopravvento.
L’obiettività è quello che serve, l’ego è il nemico diceva Al in questa legge, e qui l’ego ha accecato la gestione di Prime. Il risultato? Decisioni sbagliate e incapacità di reagire al calo.
In pratica hanno creduto di poter violare tutte le regole e farla franca. “You can’t cheat the fundamentals”, non puoi fregare i fondamentali – alla fine il mercato ti presenta il conto, puntuale. Prime ora sta pagando quel conto salatissimo.
Ecco, queste sono le 5 principali leggi infrante. Ognuna di queste violazioni ha eroso un pezzo del valore di Prime: hype e moda invece di strategia solida (Hype, Accelerazione), brand confusion e diluizione (Estensione di linea, mancato Focus/Categoria), e gestione arrogante (Successo) – un mix letale. Non sorprende che il brand sia passato da asset a liability in un anno scarso.
Moreno Bonechi: Un bel disastro insomma. A questo punto la domanda finale è d’obbligo: secondo te Prime ha ancora un futuro? C’è modo di recuperare questo brand, di far risalire le vendite, o la festa è finita e resterà solo un caso di studio su come non gestire un lancio? Logan Paul e KSI possono fare qualcosa adesso?
Frank Merenda: Te lo dico in modo diretto: non è impossibile perché nulla lo è o quasi, ma la vedo dura che Prime risorga. Hanno bruciato il capitale di marca troppo in fretta.
Quando passi da prodotto culto a merce da saldo nel giro di un anno, recuperare la fiducia è quasi impossibile. Ormai il pubblico associa Prime a una moda passata, un giocattolo rotto.
Togli l’appeal della novità e cosa resta? Un Gatorade con un altro nome, per giunta con reputazione peggiorata. Non è che non possano provare qualcosa, intendiamoci.
Magari tenteranno colpi di coda tattici: edizioni limitate speciali per ricreare un po’ di scarsità artificiale, tipo bottiglie firmate da qualche altra celebrity o gusti in collaborazione (sullo stile delle sneakers edizione limitata) – mosse per far parlare di sé di nuovo. Qualche collezionista o fan hardcore correrà a comprarle, ok.
Ma è un palliativo, non riporti il brand ai fasti di prima. Oppure potrebbero insistere con la diversificazione: voci dicono che vogliono lanciare di tutto, dagli alcolici Prime alle barrette proteiche, persino prodotti con CBD o vape brandizzati Prime.
Onestamente, mi sembra il classico tentativo di mungere il più possibile ciò che resta del brand prima di calciare il barattolo o chiudere baracca.
Spremere gli ultimi dollari, euro, sterline dai fan fedeli finché c’è ancora qualcuno disposto a comprarlo per curiosità. Ma così facendo, confermano di non aver imparato nulla: sarebbe l’ennesima violazione della legge dell’estensione (e del buon senso).
L’unica via più sensata sarebbe cedere il marchio a qualche big del beverage che provi a integrarlo in portafoglio – in pratica vendere Prime a Coca-Cola, PepsiCo o simili, sperando che un gigante lo rilanci con più mezzi.
Però diciamoci la verità: quale big dovrebbe sganciare soldi per un brand il cui buzz è già evaporato? Forse un anno fa, nel pieno del boom, qualcuno poteva pensare di comprarlo; adesso come adesso, avrebbero poco da acquisire se non un logo conosciuto dai teenager (che però quei teenager hanno già un po’ dimenticato).
Ho letto commenti in rete tipo: “alla peggio lo venderanno a Pepsi e fine della storia” – probabilmente è la speranza degli owner, ma non è detto che accada alle cifre che vorrebbero.
In sostanza, Prime è entrata in quella zona pericolosa in cui il marchio è svalutato. Logan Paul e KSI, secondo me, l’avevano messo in conto sin dall’inizio: hanno fatto i loro bei soldi nel 2023, monetizzando la follia iniziale, e ora onestamente non credo ne risentiranno più di tanto se Prime cola a picco.
Diciamo che per influencer così, il brand che conta davvero è se stessi; Prime era solo un veicolo per far soldi velocemente.
Infatti loro rimangono super famosi e troveranno un altro prodotto da lanciare e vendere ai fan. Hanno già spostato l’attenzione su altro (vedi Logan Paul nel wrestling WWE, KSI con la musica e altri business). Se domani Prime sparisce, la loro carriera non crolla di certo né la loro situazione patrimoniale personale.
Quindi, perché dovrebbero impegnarsi in un salvataggio lungo e difficile? Probabilmente non lo faranno.
La lezione di questa storia, per me, è chiarissima e vale per tutti i marketer: non puoi barare sui fondamentali del marketing. Puoi anche avere un seguito enorme, creare un hype mostruoso e vendere camionate all’inizio, ma se violi le regole base – posizionamento chiaro, focalizzazione, qualità costante, strategia di lungo periodo – prima o poi il mercato ti presenta il conto.
Prime doveva essere “il Gatorade della Gen Z”, poteva avere un posto suo; invece è diventato un caso da manuale di come un prodotto pompato senza fondamenta crolla. In definitiva, Prime passerà alla storia più come monito che come successo: una meteora del beverage che ci ricorda brutalmente che la fama da sola non basta, e che le leggi del marketing vanno rispettate se vuoi costruire un brand duraturo.
Questo, credimi, vale a Los Angeles come a Milano: il pubblico può abboccare una volta, ma se lo deludi, ti punisce. E Prime ne è la prova provata.
Bellissima analisi che spiega, in modo facile da comprendere, i flop che se possono raggiungere senza una strategia di marketing adeguata.
Come dicevi nella parte finale Frank, a Logan Paul e KSI, molto probabilmente importa poco se la marca è in tracollo verticale. Volevano forse monetizzare rapidamente attraverso l’hype generato nei momenti iniziali. E questo deve essere di aiuto anche ai consumatori che leggono.