La legge (del marketing) è uguale per tutti
I TOP e i FLOP della scorsa settimana di marketing
Benvenuti in questa nuova rubrica (spero) settimanale in cui le leggi del marketing di vengono usate come metro (e clava) per giudicare le ultime trovate dei grandi brand. Preparate i popcorn: la settimana scorsa ne sono successe di tutti i colori. Sarcasmo on, focus puntato e un pizzico di ironia… perché nel marketing chi infrange le leggi prima o poi paga dazio.
Amazon Prime Video: engagement in crescita, pazienza in calo?
Amazon Prime Video gongola: “La gente finalmente ci guarda di più, possiamo infilarci più pubblicità!”. In effetti, i dati mostrano che l’engagement (finora bassino) di Prime Video è in rialzo, il che dà ad Amazon l’opportunità di monetizzare la sua base utenti gigantesca con l’advertising.
E qui già sento già Al Ries scuotere la testa: Legge della Leadership? No, Amazon Prime Video non è leader dello streaming (quella corona è di Netflix). Legge della Categoria? Neanche: Amazon non ha inventato nulla di nuovo, era arrivata seconda sulla scena. Piuttosto sta tentando la Legge del Riciclo (che però nei 22 principi di Ries manco esiste): prendere utenti paganti e trattarli come utenti free bombardandoli di spot.
Siamo onesti: Prime Video è sempre stato un omaggio dentro Prime, non il motivo principale per cui uno paga l’abbonamento. Amazon ora vede i numeroni di abbonati inattivi e pensa: “perché non spremerli con un po’ di pubblicità?”.
Ma attenti, perché rischia l’infrazione della Legge della Percezione: se il cliente percepiva Prime Video come bonus gratuito e (soprattutto) senza pubblicità, iniziare a infilare spot potrebbe essere vissuto come un tradimento.
La Legge del Focus dice che non puoi avere due focalizzazioni contemporaneamente: o punti sull’esperienza utente (contenuti di qualità, zero pubblicità, fidelizzazione al brand Amazon) oppure punti sul fare cassa con la pubblicità.
Amazon rischia di voler essere sia premium che ad-supported e di confondere il messaggio. In altre parole, la Legge dell Estensione della Linea incombe minacciosa: aggiungere un nuovo “ramo” (la versione con spot) al servizio potrebbe indebolire il brand Prime.
Cosa potrebbe andare storto? Nessuno ha la sfera di cristallo, certo, ma infrangere la Legge della Concentrazione (Focus) non è mai una buona cosa. Prime significa prime, primo, migliore. Se domani diventa “Prime ma con gli spot come tutti gli altri”, perde quell’aura esclusiva.
Inoltre c’è la Legge del Successo: Amazon regna nell’e-commerce e nel cloud, ma nel video on demand il suo “successo” è relativo. Montarsi la testa e pensare di poter imporre spot senza ripercussioni potrebbe essere arroganza. Gli utenti annoiati dagli spot hanno troppi concorrenti a portata di clic.
Cosa sarebbe più prudente fare? Seguire la Legge del Sacrificio: rinunciare a qualcosa (un po’ di entrate pubblicitarie) per mantenere la promessa al cliente di un’esperienza senza interruzioni. Questo potrebbe essere veramente la chiave di volta nei confronti di Netflix che invece sta addirittura proponendo dei downgrade a costi minori ai suoi abbonati, proprio perché guadagna di più dalle inserzioni pubblicitarie che dagli abbonamenti diretti.
Oppure creare un’altra categoria (Legge della Categoria) – ad esempio un tier separato, Prime Video Free con pubblicità, lasciando intatto il servizio pagato e focus sull’esperienza premium. Insomma, Amazon: se vuoi monetizzare, fallo senza sputare nel piatto in cui mangi e ottieni la fidelizzazione. Legge della Percezione docet: conta come il cliente vede la cosa, non quanto brilli agli occhi degli analisti di Wall Street.
Ugly Estates: 33% di vino in più, 100% di snob in meno
Ecco a voi Ugly Estates, il nuovo vino in cartone firmato dal colosso vinicolo Gallo in combutta creativa con Ryan Reynolds e la sua agenzia Maximum Effort. In pratica il nostro Tavernello o il Ronco ma in salsa Hollywoodiana.
Slogan? “33% more wine, 100% less snob” – tradotto: più vino, meno puzza sotto il naso. Praticamente la Legge dell’Opposto applicata al mercato vinicolo: se i leader di categoria puntano sullo chic, sul terroir impronunciabile e sulle etichette dorate, Ugly Estates fa l’esatto contrario.
Niente bottiglie fighette, niente sommelier ingessati, solo tanto vino in scatola e un cane brutto ma simpatico (Peggy, la cagnolina “Dogpool” di Deadpool, assurta a testimonial, scusate ma la amo alla follia!) .
Ora provate a guardare questo spot e ditemi se non è 100 volte più efficace e simpatico dell’omologo tentativo di Tavernello con Maccio Capatonda (il fatto che nel brick ci stia il 33% di vino in più aggiunge efficacia al posizionamento “no snob” e a tutta l’operazione).
Ma a parte questo, questa mossa segue alla lettera la Legge della Categoria: non potendo essere primi nel vino premium (Gallo non diventerà Château Lafite), si inventano un nuovo angolino di mercato – il vino pop in scatola – e ci si proclamano leader. In effetti c’è un boom dei vini in cartone e in lattina, specie tra i giovani, con vendite in crescita mentre quelle in bottiglia calano.
Gallo e Reynolds hanno fiutato il trend (Legge dell’Accellerazione: i programmi di marketing vincenti si basano sui trend, non sulle mode passeggere) e si sono infilati a gamba tesa con un brand ironico e ultra-focalizzato: Ugly Estates = vino anti-snob.
La Legge del Focus qui è rispettata: hanno un’idea unica (la non-pretenziosità) e la martellano. Addirittura hanno evitato la tentazione di appiccicare il nome Gallo ovunque (niente “Gallo Ugly Estates” in bella vista) – segno di intelligenza, perché evita l’Estensione di Linea sul brand madre. Hanno creato un marchio nuovo per un concetto nuovo, mantenendo Gallo dietro le quinte a contare i soldi. Bravo!
Tutto rose e fiori allora? Quasi. Il rischio semmai è nella Legge della Percezione: passata la risata per lo spot col cane più brutto del mondo e lo slogan azzeccato, il consumatore percepirà Ugly Estates come vino di qualità o come un gadget/bravata pubblicitaria? “100% less snob” fa sorridere, ma “meno snob” non significa “buono”.
Se il vino sa di tappo (metaforicamente parlando, visto che il tappo manco c’è!), la trovata stanca in fretta. Legge dell’Iperbole (Hype): quando c’è troppo rumore di marketing, spesso la realtà è l’opposto delle apparenze. Speriamo non sia questo il caso, altrimenti Ugly rischia di restare solo nel nome e nelle vendite.
Cosa sarebbe prudente fare? Dopo l’exploit iniziale, mantenere la focalizzazione: continuare a martellare il messaggio anti-snob ma supportandolo con una buona qualità di base. In termini di leggi: non infrangere la Legge dell’Autenticità (anche se non è nelle 22 di Ries, l’aggiungo io) prendendo in giro il mercato con un prodotto scadente travestito da meme.
E occhio alla Legge dell’Estensione di Linea in futuro: se Ugly Estates decolla, non iniziate a fare dieci varianti (riserva, platinum, fragola, pesca…): sarebbe tradire la semplicità del concept. La parola d’ordine? Focus. Ugly deve restare Ugly e fiera di esserlo, in una scatola, con quel gusto un po’ punk che piace ai clienti stufi delle etichette con i castelli francesi.
H&M e l’inclusività… artificiale: se non puoi assumere, clona!
Nel reparto idee discutibili della settimana, H&M vince facile: invece di ampliare il cast di modelli per rappresentare più diversità, che ti combina? Usa l’Intelligenza Artificiale per creare modelli digitali “inclusivi”. Avete capito bene: modelli finti generati al computer, ma con tanta diversity politicamente corretta.
La trovata, secondo H&M, permetterebbe di mostrare i vestiti su persone di ogni etnia, forma e taglia… senza dover ogni volta chiamare persone vere. Ah, però. L’hanno chiamata iniziativa dei “digital twins”: duplicati virtuali di modelli reali, creati col consenso dei modelli stessi. Ne vogliono schierare 30 quest’anno. Roba da far venir i brividi a chi ricorda i manichini semoventi dei film horror.
All’apparenza H&M cita la Legge della Categoria: se non puoi essere il primo ad avere il miglior marketing inclusivo, crea una nuova categoria – il primo brand fast fashion con modelli AI inclusivi.
Suona innovativo… peccato che rischi di essere uno schiaffo alla Legge della Percezione e pure alla semplice decenza. Percepito dal pubblico: “Invece di pagare modelle in carne e ossa di diverse taglie e colori, preferite farle finte col computer. Ma davvero?”.
L’intento dichiarato è nobile (inclusione), ma la percezione può essere: taccagneria mascherata da inclusività 2.0. Legge dell’Hype: tanto rumore su AI e diversity, ma potrebbe celare il solito risparmio sui costi. Non a caso molti hanno storto il naso: c’è già chi parla di standard di bellezza ancora più irreali e letteralmente “unreal”, e il Model Alliance ha subito puntato il dito sul rischio per i posti di lavoro reali. Insomma, la polemica di ritorno, il backlash è già servito.
Guardiamola con le lenti di Al Ries : H&M sta violando la Legge del Focus perché si sta distraendo dal suo core (vestiti carini e accessibili) per buttarsi su un terreno tech in cui non è leader né credibile.
Inoltre, attenta H&M alla Legge dell’Autenticità (che pur non essendo nel libro aleggia sempre): i consumatori oggi premiano i brand autentici. Un avatar generato al computer è l’antitesi dell’autentico. Se vuoi promuovere la “diversity”, assumi modelle “diverse”, non “focalizzarti” sul giocare col computer.
Errori strategici all’orizzonte: se il pubblico percepisce questa mossa come una furbata, H&M non solo non guadagna punti inclusività, ma ne perde in autenticità e fiducia. Legge della Percezione violata = brand appannato. Inoltre si rischia un effetto valanga: modelli virtuali oggi, domani collezioni disegnate dall’AI pescando trend random su TikTok… e il brand perde anima.
La Legge del Successo insegna: quando hai successo (H&M è tra i big del fast fashion) non devi pensare di poter fare qualunque cosa senza conseguenze. Un po’ di umiltà non guasterebbe.
Cosa sarebbe più prudente fare? Tornare ai fondamentali: Focus sul cliente reale. Vuoi essere inclusivo? Applica la Legge del Sacrificio: sacrificare forse un po’ di efficienza o di margine e ingaggia fotografi, modelle, stylist “diversi” e inclusivi.
Fai campagne vere, anche piccole, ma che la gente possa guardare e dire “wow, H&M sta facendo spazio a persone come me”. Le leggi del marketing classiche ti direbbero: se vuoi occupare una parola nella mente del cliente (inclusività, diversità), devi farlo in modo credibile e coerente.
Un modello AI non invecchia, non ingrassa, non protesta – sembra il sogno di un manager, ma è un incubo per la percezione del brand. Piuttosto, segui la Legge della sincerità: ammetti che l’industria ha avuto problemi di inclusività e mostrami che stai facendo qualcosa di genuino, anche imperfetto, per migliorare. Tutto il resto è fuffa digitale.
Tag Heuer: prima il brand, poi l’orologio – il potere della focalizzazione
In Svizzera scatta l’ora del focus. Tag Heuer, storico marchio di orologi di lusso sportivi, ha annunciato una nuova strategia di marketing: invece di spingere ogni singolo modello di orologio come se fosse il messia, spingerà prima di tutto il brand Tag Heuer stesso, la sua storia e i suoi valori.
È un ritorno alle origini: nuovo tagline “Designed to Win” (progettati per vincere), ispirato a una frase di Ayrton Senna, e grande enfasi sul legame con lo sport e le performance.
In pratica, Tag Heuer ha deciso di shiftare il focus dai modelli individuali al marchio, inaugurando “una nuova era” da “mentalità vincente”. Era ora, verrebbe da dire: da qualche tempo Tag Heuer sembrava un po’ schizofrenica, tra orologi super-tecnologici, edizioni limitate con diamanti di laboratorio e prezzi sparati in orbita.
Alcuni analisti infatti storcevano il naso su queste mosse confuse. Ora il nuovo CEO Antoine Pin ha preso in mano la situazione: pulizia, concentrazione e avanti tutta sul DNA sportivo.
Qui c’è da applaudire: Legge della Focalizzazione (Focus) applicata alla lettera. Tag Heuer ha capito che non può essere tutto per tutti. Nel mondo degli orologi di lusso la Legge della Leadership è spietata (Rolex comanda e fine della storia), quindi Tag fa bene a rifugiarsi nella Legge dell’Autenticità del proprio brand: l’autentico heritage corsaiolo, il mito di Steve McQueen con il Monaco al polso, Senna, Verstappen ecc. (Legge della Categoria: occupare una posizione chiara nella mente, in questo caso “orologio per chi ama la velocità e la vittoria”).
Concentrarsi sul brand e i suoi valori sportivi implica anche rispettare la Legge del Sacrificio: forse Tag Heuer dovrà sacrificare qualche collezione di troppo, semplificare la gamma (meno modelli ridondanti) per dare coerenza al messaggio. Smetterla di cercare di competere con Patek o Audemars Piguet sul terreno del super-lusso e rimanere focalizzati sul proprio segmento luxury sport.
Un brand forte che occupa una nicchia chiara può prosperare più di un brand che scimmiotta chi sta sopra. E infatti i numeri recenti dicono che Tag Heuer sta pure crescendo di quota di mercato mentre altri arrancano – segno che tornare sul binario giusto paga.
Ci sono rischi? Pochi, se restano fedeli alla strategia. Forse la Legge della Coerenza (cugina delle 22 leggi) va monitorata: non basta lanciare una campagna “Designed to Win” oggi; bisogna poi tenere questa rotta per anni.
Se tra sei mesi ritirano fuori un modello smart-watch Android perché “fa innovazione”, confondono di nuovo tutti. Oppure se manterranno prezzi troppo ambiziosi rischiano di violare la Legge della Percezione: il pubblico può percepire dissonanza tra il dire “siamo sportivi e alla mano” e poi sparare prezzi da gioielleria. In sostanza, il pericolo è tradire la promessa implicita del nuovo focus.
La mossa prudente ora: attenersi alla Legge della Parola (Focus): nella mente del cliente Tag Heuer = “orologio sportivo vincente”. Ogni scelta di prodotto e comunicazione deve rinforzare quella parola, quel concetto. Quindi prudentemente: meno edizioni speciali pazze solo per fare notizia (niente più diamanti di laboratorio a casaccio, per favore), più attenzione a ciò che alimenta la leggenda sportiva.
Magari riprendere partnership sportive autentiche, edizioni limitate sì ma legate a storie coerenti (tipo edizione Monaco GP, cose così). Legge dell’Esperienza (una mia derivata della percezione): far vivere il brand, non solo venderlo. Insomma, bravo Tag Heuer: stai facendo esattamente ciò che Ries e Trout consiglierebbero – focalizzati o muori (“marketingmente” parlando). E pare che l’orologio stia ticchettando nella giusta direzione.
WHSmith: addio High Street, ci vediamo in aeroporto
Chiude un’epoca: WHSmith, la catena britannica di librerie/cartolerie/giornali presente da secoli nelle vie principali (High Street), ha deciso di mollare il colpo. Ha venduto tutta la divisione dei negozi tradizionali (quasi 500 punti vendita, roba fondata 230 anni fa) per concentrarsi esclusivamente sul retail di viaggio, cioè negozi in aeroporti, stazioni, autogrill ecc.
La WHSmith sparirà quindi dalle strade cittadine britanniche (i nuovi proprietari rinomineranno quei negozi, fine di un’era nostalgica) e l’azienda punterà tutto sui duty free e affini, dove peraltro già va forte con 1.200 store nel mondo e vendite in crescita.
Questa è Legge del Sacrificio applicata senza pietà: sacrificare (anzi, amputare) una parte di business per rafforzare quella più promettente. Anche un esempio da manuale di Focus (il libro di Al Ries): “concentrati sul tuo core e liberati di ciò che distrae”. Il core di WHSmith oggi è il viaggiatore annoiato/disperato che compra la rivista, il caricabatterie o le caramelle prima di imbarcarsi.
Lì sono leader o quasi. Sulla High Street, invece, erano diventati irrilevanti, schiacciati dall’e-commerce e dai supermercati per articoli di cartoleria. Dunque perché intestardirsi? Legge della Risorsa: meglio investire i soldi dove hai ritorno (travel retail) che tenerli legati in un settore in declino. E infatti vendendo la divisione storica incassano 76 milioni £ da reinvestire nella crescita internazionale.
Ovviamente c’è un filo di tristezza: un brand storico che lascia le vie cittadine, molti consumatori affezionati diranno “ah, che peccato”. Ma come ha detto un osservatore, trovare un compratore per quel ramo “è più un sollievo che una perdita, era un peso più che una benedizione diversificatrice”.
In termini di 22 leggi, possiamo citare la Legge della Diversificazione al contrario: diversificare troppo (high street + travel + ecommerce tipo funkypigeon) li aveva resi mediocri in tutto. Tagliare e focalizzare li renderà probabilmente eccellenti nel loro (redditizio) segmento.
Rischi all’orizzonte? Beh, scommettono su un unico cavallo. Se il travel retail dovesse subire contraccolpi (ricordiamo tutti la pandemia, aeroporti chiusi… brivido), WHSmith ora non avrebbe il paracadute di altri segmenti.
Stanno infrangendo la Legge della Dualità? (Ogni mercato alla lunga diventa una corsa a due). Nel retail travel globale competono già giganti come Hudson, Relay, e vari duty-free operator: concentrandosi lì, WHSmith punta a diventare uno dei due finalisti globali, ma non è garantito. Tuttavia, se rimanessero mezzi e mezzi, sarebbe certo il declino. Quindi meglio rischiare col focus che morire di entropia lenta.
La mossa prudente successiva: eseguire alla perfezione la Legge della Leadership nel nuovo campo prescelto. Vogliono essere i numeri uno del travel retail? Devono muoversi per consolidare quella posizione ora che sono “pure player”.
Innovare nei negozi in aeroporto, offrire servizi che la concorrenza non fa, insomma lead or leave. E non sgarrare con tentazioni di “estorcere” troppo ai clienti solo perché sono in transito: il viaggiatore sa quando un prezzo è ladronesco, e c’è sempre Amazon che recapita a casa…
Focus sì, ma anche mantenere una buona reputazione col consumatore. In breve: Legge del Focus promossa a pieni voti; adesso viene la Legge delle Risorse – investire quei 76 milioni con criterio, per aprire nuovi punti nei terminal più lucrativi e magari digitalizzare l’esperienza (ordini col telefono e ritiri al volo?). WHSmith ha fatto la scelta giusta, ora deve eseguirla bene. Allacciate le cinture.
Ford “From America, For America”: patriottismo o svuota-magazzino?
Passiamo all’automotive, dove Ford negli USA ha tirato fuori il patriottismo da manuale con la campagna “From America, For America”. Ufficialmente, è la risposta ai dazi post-Trump: con Canada e altri paesi che alzano tariffe sulle auto americane del 25%, il mercato rischia contraccolpi.
Ford allora cosa fa? Cerca di rassicurare i consumatori americani con un segnale forte: sconti enormi sulle auto “Made in USA” per spingerli a comprare patriottico e tenere su la domanda.
Tradotto in pratica: fino al 3 giugno, tutti (non solo i dipendenti) possono avere sulle auto Ford gli stessi sconti riservati ai dipendenti, cumulabili con altre promozioni, su gran parte dei modelli in stock.
Suona grandioso (per il cliente): una sorta di “prezzo di famiglia” per l’americano medio, perché hey, siamo tutti americani, teniamo duro insieme contro i cattivi dazi stranieri.
Ora, la Legge dell’IPerbole (Hype) ci insegna che se la notizia pare troppo bella (“patriottismo altruista di Ford!”), la realtà potrebbe essere un filo diversa. In effetti, i media USA notano una somiglianza con la promo “Keep America Rolling” che GM fece dopo l’11 settembre 2001 – quindi sapore di mossa emergenziale. E fanno notare un dettaglio: Ford aveva tanti veicoli in inventario (74 giorni di stock), ergo questa campagna patriottica è anche un tentativo di svuotare i piazzali pieni di auto invendute.
Altro che solo rispondere ai dazi per amor patrio… Qui scatta la Legge della Candeggina (non è nelle 22, la sto inventando): riverniciare da opportunismo commerciale una manovra necessaria spacciandola per atto di cuore patriottico.
Dal punto di vista di Ries & Trout, qual è la legge in ballo? Legge della Percezione: come la percepiranno i consumatori? Alcuni vedranno un’occasione (auto scontata, grazie zio Ford!), altri potrebbero percepire debolezza (“Ma come, fanno sconti da dipendenti a tutti? Devono essere messi male…”).
La Legge dell’Autofocus (ovvero, occhio a non spararsi sui piedi col proprio focus di brand): Ford è un marchio forte in USA, legato a concetti come affidabilità, robustezza, value. Se abitui troppo il pubblico a cercare il supersconto “temporaneo”, svaluti la percezione del tuo prodotto a lungo termine.
Un po’ come le svendite continue di certe case auto che poi non vendono nulla a prezzo pieno perché tanto “aspetto lo sconto”. Insomma, rischi di intaccare il brand con un’operazione tattica.
Stanno seguendo la Legge dell’Opposto? Forse sì: i concorrenti stranieri (giapponesi, europei) con quei dazi costeranno di più, quindi Ford, come competitor locale, spinge forte sul vantaggio di essere “noi siamo di casa, costiamo meno, compra qui!” – tipico di chi vuole consolidare il secondo posto approfittando della difficoltà altrui. Ci sta.
Ma attenzione alla Legge della Prospettiva: gli effetti di marketing si vedono sul lungo periodo. Oggi fai cassa e smaltisci stock, domani? Domani potresti avere clienti abituati male o un vuoto di domanda perché chiunque doveva comprare nel 2025 lo fa entro il 3 giugno per non perdere lo sconto. Dopo, vendite giù dal burrone.
Che errori strategici si rischiano? Una violazione della Legge del Posizionamento: Ford finora si è sempre posizionata come “l’auto per l’americano vero” senza doverlo per forza urlare. Esagerare col patriottismo commerciale (slogan iper-nazionalista + mega sconti per “veri americani”) può sembrare disperato.
Inoltre, c’è la Legge del Successo/Arroganza: credere che basti avvolgersi nella bandiera a stelle e strisce per far digerire qualsiasi cosa (anche prezzi aumentati dai dazi) è un filo presuntuoso. Il pubblico non è fesso: sa che i dazi alzano i costi e che Ford sta cercando di non rimetterci.
Un patriota sì, ma fino a un certo punto, specie se vede che poi l’F-150 Raptor è escluso dallo sconto (eh già, i modelli di punta e più desiderati non sono in saldo patriottico… come mai?).
Cosa sarebbe più prudente fare? Un approccio più in linea con la Legge della Sincerità: Ford avrebbe potuto comunicare anche la verità. Tipo: “Abbiamo un sacco di auto pronte e vogliamo farvi avere le vostre ora al miglior prezzo – chiamiamola operazione Ford Fair Deal”.
Magari meno poetico di “From America, For America”, ma più onesto. Strategicamente, attenzione a rientrare dalla campagna senza troppi danni: dopo il 3 giugno, Ford deve evitare di sembrare di nuovo cara e distante. Potrebbe pianificare un follow-up in linea col posizionamento (“Abbiamo aiutato gli americani nei tempi difficili, continuiamo a farlo con… [qualche altro programma di valore aggiunto]”).
In breve: la focalizzazione di Ford dovrebbe rimanere su costruire ottime auto per gli americani, non su costruire campagne promozionali furbette. Un patriottismo credibile nel lungo termine si costruisce con i fatti (investimenti in America, qualità, lavoro) più che con gli slogan a tempo.
Legge della Percezione finale: assicurarsi che i clienti ricordino “Ford mi ha aiutato quando c’erano i dazi” e non “Ford fa svendite come se fallisse domani”. Sottile differenza, enorme impatto.
Amazon vuole TikTok: la linea sottile tra dominio e delirio
Chiudiamo con la bomba hi-tech: Amazon avrebbe espresso interesse ad acquisire TikTok. Sì, avete letto bene. Pare che Bezos & Co. (anzi Jassy, l’attuale CEO, ma l’ombra di Jeff aleggia) abbiano fatto recapitare una letterina a Washington dicendo: “Ehi, se volete buttar fuori i cinesi da TikTok, ce lo compriamo noi”.
In pratica, con la scadenza del 5 aprile fissata dagli USA per trovare un acquirente americano a TikTok sotto minaccia di ban, Amazon ha fatto un’offerta last-minute per comprare tutto TikTok. Il perché ufficiale: preoccupazioni di sicurezza nazionale, blah blah. Il perché ufficioso (mica tanto nascosto): Amazon sogna da tempo di avere un proprio social media gigante per vendere più roba e agganciare i giovani.
Già in passato ha comprato Twitch (videogame streaming) e Goodreads (libri) per tastare il terreno social, ma TikTok sarebbe tutt’altra scala: centinaia di milioni di utenti incollati allo schermo, un algoritmo infernale che crea dipendenza, e soprattutto l’e-commerce integrato che in Asia fa faville.
Immaginate la combo: scrolli video di balletti e tutorial, e clicchi “Compra ora su Amazon” senza uscire dall’app. Per Amazon sarebbe come mettere le mani sull’oro colato della Gen Z.
Però… c’è sempre un però. Dal punto di vista delle leggi del marketing, Amazon rischia di infrangerne parecchie in un colpo solo. Legge della Focalizzazione: Amazon già fa mille mestieri (negozio online di tutto, cloud, streaming, assistenti vocali, supermercati…). Aggiungete un social media di intrattenimento e balli virali: la focalizzazione ulteriore va a farsi benedire.
Diventi talmente onnivoro che nessuno capisce più cosa sei: un negozio? un media? un grande fratello digitale? Certo, Amazon è già ampiamente multi-settore, ma finora il core retail era chiaro. Con TikTok nel piatto, Amazon diverrebbe un idra a due teste: e-commerce + social network. Si può fare? Teoricamente è possibile lasciando completamente inalterato il brand e non “fondendo”i team manageriali in primis. Ma le sfide sono anche altre più che meramente pratiche.
Legge della Percezione: questo matrimonio Amazon-TikTok come verrebbe percepito? Forse male, da vari fronti. Utenti di TikTok potrebbero temere un’“amazonizzazione” della piattaforma, con feed invasi da shopping e meno creatività libera. Potrebbero migrare altrove se percepiscono che TikTok non è più “cool” ma un altro canale di vendita.
Dall’altro lato, clienti Amazon potrebbero non fregarsene niente di TikTok integrato nel loro shopping – magari manco lo usano. Insomma, c’è il rischio di non riuscire a far funzionare le sinergie come sperato perché i pubblici delle due piattaforme hanno percezioni e bisogni diversi.
La Legge di Dualità dice che in ogni mercato a lungo andare restano due grandi rivali: qui Amazon punterebbe a diventare il duopolista sia dell’e-commerce (già lo è in coppia con… boh, Walmart? Alibaba? Comunque è leader) sia dei social media (dove ora abbiamo Meta vs TikTok). Ambizioso? Molto. Realistico? Da vedere.
C’è anche un aspetto di Legge dell’Arroganza (Successo): Amazon è così ricca e potente che pensa di poter dominare ogni arena. Ma i social media sono una bestia diversa dal retail. Lo sa bene Google quando ha lanciato Google+ per fare concorrenza a Facebook. Un disastro su tutta la linea.
O Musk quando ha comprato Twitter e nonostante enormi tagli il suo valore è andato a picco, ha perso una infinità di grandi investitori (sì, molti suoi fan gridano al complotto giudaico-alieno-massonico ma i dati di fatto quelli rimangono). Insomma ci hanno già provato in molti illuminati e con le carte i regola a fare questo genere di cose. E i dati di fatto non sono confortanti.
Gestire TikTok significa gestire moderazione dei contenuti, trend creativi, community, potenziali grane di PR (vedi balletti pericolosi, disinformazione, ecc). È roba che fa impazzire già Zuckerberg; Amazon rischia di trovarsi a combattere su troppi fronti lontani dal suo DNA.
La storia insegna che fondere categorie diverse spesso fallisce (se seguite un po’ queste cose anche se non sono proprio “italiane”, ricordate oltre a Musk con Twitter quando AOL comprò Time Warner? O quando News Corp comprò MySpace? Ecco). La Legge delle Previsioni (Imprevedibilità) ammonisce: non puoi sapere con certezza come andrà un’acquisizione così, soprattutto con varianti regolamentari globali di mezzo.
Possibili errori strategici: violare la Legge dell’Esclusività del brand nella mente. Oggi Amazon = shopping online (e AWS per i business). TikTok = divertimento social giovane. Dopo, Amazon rischia di non possedere più saldamente la parola “comprare online” perché magari distrae focus su “guardare video”.
E TikTok potrebbe perdere la parola “divertimento spensierato” perché verrà associato a “Amazon = compra = capitalismo sfacciato”. Perché pur tenendo separate le due piattaforme il più possibile, è ovvio che qualche punto di contatto prima o poi dovrà iniziare ad esserci. L’acquisizione sembra nascere proprio con lo scopo di acquistare un nuovo canale distributivo, non nel tenere Tik Tok in vita “com’è”.
Un bel pasticcio teorico di brand. Inoltre, c’è il potenziale boomerang: se Amazon spinge troppo shopping su TikTok, la base utenti potrebbe calare; se non lo spinge, l’acquisizione perde senso economico. Insomma, Legge del Dilemma (pure questa la invento io ad hoc).
Cosa sarebbe più prudente fare? Forse non fare proprio questa acquisizione o, se proprio acquisti TikTok, considerare di tenerlo separato, come entità indipendente, per non contaminare i brand reciprocamente – un po’ come Google ha fatto con YouTube (YouTube è Google, ma il brand rimane YouTube, distinto da Google Search). E sforzarsi come detto anche nel medio periodo di non inquinare Tik Tok con Amazon incorporato e viceversa.
In ogni caso, servirebbe rispettare la Legge della Credibilità: Amazon dovrebbe dimostrare agli utenti TikTok di capire la piattaforma e non volerla rovinare. E agli inserzionisti/brand mostrare che saprà monetizzare senza snaturare (bella sfida).
Forse più prudentemente Amazon potrebbe accontentarsi di una partnership commerciale con TikTok (tipo integrare Shopify come hanno fatto altri, o accordi di vendita) senza prendersi la patata bollente di possederla. Ma conoscendo Amazon, la sete di dominio è forte.
In sintesi, se davvero Amazon comprerà TikTok, si troverà a camminare sul filo tra due grattacieli: da un lato l’impero retail, dall’altro l’impero social. Se riesce, domina il mondo. Se sbaglia un passo, rischia di precipitare e danneggiare due brand colossali in un colpo solo. Legge dell’Unicità: in ogni situazione, c’è una mossa che funziona davvero. Jeff, speriamo tu la azzecchi – altrimenti saranno guai, e io avrò molto di cui scrivere ironicamente.
Tendenze generali: AI a pioggia, influencer marketing a valanga, e l’alleanza anti-Tesla si mette in carica
Chiudiamo con uno sguardo ai macro-trend di marketing emersi nei fatti della settimana:
- AI ovunque: Siamo ufficialmente nell’era in cui l’AI viene infilata in ogni strategia di marketing, a volte a sproposito. Non solo H&M e i modelli digitali – un’estremizzazione – ma un po’ tutte le aziende dichiarano di voler investire in AI generativa per contenuti, customer service, automazione.
Si parla di percentuali bulgare: il 92% delle aziende vorrebbe investire in AI generativa nei prossimi tre anni. La Legge dell’Hype qui vibra pericolosamente: sicuramente l’AI è un trend destinato a restare (quindi Legge dell’Accelerazione: trend solido), ma l’adozione indiscriminata rischia di far dimenticare la Legge della Differenziazione – se tutti usano le stesse AI, con gli stessi prompt e le stesse finalità, il marketing si omologa. Inoltre, attenti a non violare la…
Legge della Percezione: i consumatori iniziano a subodorare i contenuti “AI-generated” e potrebbero non apprezzare (c’è un che di freddo e finto, come notavamo per H&M). Focus: la lezione qui per i brand è usare l’AI dove ha senso per il cliente, non solo perché “lo fanno tutti”. Altrimenti si finisce con chatbot scemi e newsletter insipide che saturano e annoiano.
- Esplosione dell’influencer marketing: Se nel 2015 i brand si chiedevano ancora “Ma ‘sti influencer servono davvero?”, nel 2025 la domanda è: “Quanti influencer possiamo attivare con il budget X?”. Un dato: il 59% dei marketer prevede di aumentare le collaborazioni con influencer nel 2025 rispetto al 2024.
Ormai è un canale mainstream, quasi inflazionato. La Legge della Leadership qui si manifesta curiosamente: i top influencer dominano gran parte dell’attenzione, quindi brand e second-tier influencer devono applicare la Legge della Nicchia (una variante della Categoria): trovare micro-influencer focalizzati su community specifiche dove possono essere leader d’opinione autentici.
Se tutti puntano agli stessi 10 mega-influencer, torniamo alla Legge della Percezione: il pubblico li vede ovunque e l’effetto si diluisce (o scoppiano polemiche, vedi Fedez & co, e i brand ci rimettono).
Quindi sì agli influencer, ma con focus strategico: meglio 10 influencer piccoli ma rilevanti per la tua nicchia (legge della focalizzazione applicata al passaparola) che buttare milioni sul volto inflazionato del momento solo perché ha numeri. In ogni caso, l’influencer marketing non è più opzionale – è parte integrante del marketing mix.
I brand dovranno solo stare attenti a non perdere la voce del proprio brand in mezzo alle voci altrui. La Legge dell’Esclusività insegna che due entità non possono possedere la stessa parola nella mente del consumatore: occhio a non regalare ai creator la proprietà dei valori del tuo brand. La partnership deve elevare il brand, non oscurarlo.
- Nuovi entranti focalizzati: il caso IONNA (EV charging): Tra le notizie spicca l’alleanza di 8 case auto (GM, Mercedes, Honda, Hyundai, ecc.) dietro la nuova rete di ricarica per veicoli elettrici chiamata IONNA. Perché interessa al marketing? Perché è un esempio lampante di strategie guidate dal Focus e dalla Legge della Leadership/Categoria.
Tesla ha creato la categoria dei supercharger ed è leader con il 58% delle stazioni fast-charge negli USA. Le altre case, invece di fare ognuna la propria rete a metà (e fallire in una confusione totale di brand), si sono unite per lanciare un nuovo brand focalizzato solo sulle ricariche. IONNA vuole avere 100 stazioni con 1000 colonnine entro fine 2025, e arrivare a 30.000 punti carica entro il 2030 – praticamente lo stesso ordine di grandezza della rete Tesla oggi.
Stanno quindi applicando la Legge del Duello a lungo termine: creare l’antagonista n.1 nel mercato (Tesla vs IONNA). E lo fanno con un brand nuovo, nome breve e orecchiabile che richiama “iona/ionio/elettroni”, evitando di appiccicarci sopra 8 marchi auto e fare confusione. Questo è Focus: IONNA fa solo quello e lo farà per conto di tutti.
Anche la comunicazione sembra ben indirizzata: parlano di risolvere la range anxiety dei consumatori costruendo fiducia, puntando su affidabilità e copertura (ultra-fast & reliable è la promessa). Qui vediamo rispettate la Legge dell’Attributo (se Tesla = pioniera e cool, IONNA vuole = affidabile e aperta a tutti) e la Legge del Nome implicita (un nome nuovo per una nuova percezione, senza trascinarsi dietro le percezioni dei brand auto coinvolti).
Cosa tenere d’occhio: IONNA dovrà comunque combattere contro l’aura potentissima di Tesla. La Legge della Mente dice che Tesla occupa la mente quando pensi a “ricarica EV”. IONNA dovrà investire parecchio (Legge delle Risorse) e avere pazienza (Legge della Prospettiva) per scalzare quell’immagine.
Il fatto che molte persone (come anche tra i lettori di questa newsletter!) nemmeno conoscessero il nome IONNA prima di oggi, dimostra che deve costruire notorietà da zero. Ma strategicamente, l’approccio è giusto e focalizzato. Chapeau a chi ha evitato di chiamarla “All Auto Charge Network” o altri nomi da comitato, scegliendo invece un brand unico.
In conclusione, queste tendenze ci raccontano una cosa chiara: il marketing premia chi sa focalizzarsi e punisce chi si fa prendere dalle ondate senza strategia. L’AI può essere rivoluzionaria, ma se la usi senza un focus rischi di sembrare solo un altro che “mette il bollino AI” sulle slide.
L’influencer marketing può amplificare il tuo messaggio, ma se non sei focalizzato su quale messaggio e tramite chi, fai solo rumore di fondo. Le nuove iniziative come IONNA mostrano che perfino giganti multi-miliardari riconoscono il potere di focalizzarsi su un nome, un servizio, un obiettivo chiaro (far fuori un leader di mercato, in questo caso).
E quindi, cari amici imprenditori o semplici appassionati, la morale di questa settimana di marketing è servita: passano gli anni, cambiano le mode, ma le immutabili leggi del marketing rimangono lì, pronte a colpire chi se ne dimentica. Meglio tenerle a mente – con leggerezza e un sorriso magari – mentre pianifichiamo la prossima grande trovata.
Perché, per dirla alla mia maniera, il marketing non è mica un’opinione: se infrangi queste leggi, poi non frignare se ti fai male. Alla prossima settimana, con nuove storie di strategie geniali o scellerate da dissezionare insieme. E ricorda: focus, focus e ancora focus… non la Ford Focus, s’intende, ma quella mentale strategica! 😉
E tu? Cosa ne pensi di queste strategie di marketing? Avranno successo? Sì, no? Che idee ti sei fatto? Dimmelo come sempre nei commenti e noi ci sentiamo alla prossima newsletter.