Dr Pepper batte Pepsi: la forza di essere diversi
Per anni la guerra dei colossi delle bevande analcoliche sembrava un duello a due tra Coca-Cola e Pepsi. Ma a sorpresa, negli Stati Uniti il secondo posto non spetta più alla “Pepsi-cola” bensì a Dr Pepper. Questo storico sorpasso – Dr Pepper che scalza Pepsi al ruolo di numero 2 del mercato – è il risultato di una crescita lenta ma costante iniziata già a inizio millennio.
Parliamo di un marchio nato 139 anni fa e a lungo considerato di nicchia, che di recente ha beneficiato di ingenti investimenti di marketing, gusti innovativi e una distribuzione capillare (oggi è presente in più distributori e fast food di qualsiasi altra bibita). Insomma, Dr Pepper non sta mostrando alcun segno di cedimento, anzi frizza più che mai.
Come ha fatto Dr Pepper a superare un colosso come Pepsi? In fondo, la Coca-Cola Dr Pepper Company (oggi parte di Keurig Dr Pepper) è sempre stata un’anomalia nel panorama: non è esattamente una cola tradizionale, ma una miscela “sui generis” di 23 gusti diversi, fra cui spiccano ciliegia e vaniglia.
Proprio questa formula unica ha permesso a Dr Pepper di ritagliarsi negli anni un seguito fedele di estimatori in cerca di qualcosa di diverso dalla solita cola. Secondo gli esperti, il brand ha saputo distinguersi con campagne di marketing efficaci che enfatizzano la sua individualità e il gusto inconfondibile, strategia che risuona in particolare con i consumatori più giovani alla ricerca di alternative alle cole tradizionali.
Non a caso, molti Gen Z e millennial dichiarano di volere “qualcosa di diverso dal solito gusto cola”, e Dr Pepper incarna perfettamente questa voglia di novità. Il risultato? Mentre Pepsi arrancava, Dr Pepper registrava un balzo del +40% nel valore del brand, a fronte della performance relativamente stagnante di Pepsi. In breve, essere diversa ha reso Dr Pepper irresistibile per una nuova generazione di consumatori e le ha fatto conquistare la medaglia d’argento delle bibite più popolari in America.
Cherry Coke: l’imitazione che non sfonda
Diametralmente opposta è la storia di Cherry Coke. Cos’è Cherry Coke? Semplicemente una Coca-Cola al gusto ciliegia – una variante lanciata dalla Coca-Cola Company nel 1985 per inseguire il trend dei soft drink aromatizzati alla ciliegia lanciato da Dr.Pepper. Fu la prima estensione di linea aromatizzata mai prodotta da Coca-Cola (all’epoca esistevano solo la Coca-Cola classica e la Diet Coke).
In pratica, mentre Dr Pepper prosperava come bevanda dal gusto originale e distinto, Coca-Cola pensò bene di creare una copia “ciliegiosa” della sua cola, nel tentativo di entrare nel segmento di mercato in cui Dr Pepper spiccava. Cherry Coke debuttò quasi in contemporanea alla (disastrosa) introduzione della New Coke nel 1985 – e infatti passò abbastanza inosservata, oscurata dal pandemonio mediatico causato dalla riformulazione di Coke.
Nonostante ciò, Cherry Coke rimase in commercio e venne perfino ribattezzata “Coca-Cola Cherry” nel 2005, segno che l’azienda continuava a crederci almeno nominalmente.
Eppure, non se l’è mai bevuta nessuno – perdonate il gioco di parole. Cherry Coke non ha mai davvero sfondato. Parliamoci chiaro: vi è mai capitato di vedere gente fare la fila per una Cherry Coke? Di trovare Cherry Coke al ristorante o al bar sotto casa? Difficile.
Anzi, in molti mercati è stata ritirata e rilanciata più volte nel tentativo di farla decollare. Un esempio emblematico: la versione Diet Cherry Coke è stata ritirata dal mercato nel 2020 per scarse vendite, ed è tornata sugli scaffali solo ora, nell’estate 2025, dopo quattro anni di assenza – per di più come edizione limitata e distribuita esclusivamente da una catena di supermercati (Kroger).
Insomma, più che un trionfale rientro sembra un contentino nostalgico per i pochi fan rimasti. In generale, Coca-Cola ha provato di tutto per far amare la ciliegia ai consumatori: oltre alla Cherry Coke classica ha sfornato varianti come Diet Cherry, Cherry Zero, Cherry Vanilla, perfino una Black Cherry Vanilla Coke nei primi anni 2000. Un’estensione di linea sull’estensione di linea – gusti su gusti – nel tentativo disperato di trovare la formula magica.
Ma la verità è che non funziona: nessuna di queste versioni ha mai scalato le classifiche di vendita né minacciato minimamente lo strapotere della Dr.Pepper.
Basti pensare che in molti Paesi Cherry Coke è praticamente introvabile. Nel Regno Unito ha un seguito di nicchia tra i teenagers, ma in Italia ad esempio non è nemmeno distribuita ufficialmente: la si può scovare solo in qualche ipermercato super fornito (insieme alla variante alla vaniglia), oppure a volte nei distributori automatici – in ogni caso si tratta perlopiù di lotti d’importazione dall’estero. Oppure nei distributori refill di Five Guys.
Questo la dice lunga: Coca-Cola non ha neanche ritenuto profittevole investire seriamente per venderla sul mercato italiano. Chi la vuole, se la va a cercare sugli scaffali dei prodotti d’oltreoceano, insieme alle Mountain Dew e altre curiosità americane. Altro che prodotto di massa. Cherry Coke resta una comparsa, la cugina minore un po’ sfigata nella famiglia Coca-Cola, tant’è che ogni tot anni ad Atlanta provano a cambiarle vestito sperando che qualcuno la noti, ma puntualmente torna nell’ombra.
La trappola del “me too”: copie in ritardo e destinate alle briciole
Cherry Coke incarna perfettamente la trappola del “me too” nel marketing. È la classica estensione di linea nata perché l’azienda leader (Coca-Cola) ha visto un altro fare soldi in una nicchia (la cola aromatizzata alla ciliegia, dominata da Dr Pepper) e ha pensato:
“Ci tuffiamo anche noi, tanto abbiamo il marchio forte”
Ma entrare in un mercato inseguendo qualcuno senza vera innovazione è spesso una ricetta per il flop. Non importa quanto grande sia il tuo nome: se fai la copia tardiva di un’idea altrui, verrai percepito come l’ennesimo doppione, non come il protagonista. Cherry Coke esiste solo perché Coca-Cola inseguiva la scia di Dr Pepper, senza però aggiungere nulla di veramente nuovo (a parte il brand Coca-Cola sull’etichetta). Il risultato?
I consumatori di quella nicchia hanno continuato a preferire il gusto originale di Dr Pepper, e Cherry Coke è rimasta al palo. L’imitatore non supera mai l’originale, soprattutto quando arriva tardi e senza personalità distinta.
Questo principio non vale solo per le bibite, ma per qualsiasi settore. Quante volte vediamo imprenditori lanciarsi come copia di qualcosa che “funziona”? L’ennesima hamburgeria gourmet che spunta dopo che la prima ha avuto successo in città.
L’ennesimo pub irlandese fotocopia (negli anni ‘90 erano una persecuzione, ricordate?), aperto solo perché “vanno di moda”. O ancora, il milleunesimo sushi all you can eat identico agli altri, l’ennesimo dentista o agente immobiliare che nel marketing e nell’offerta è la fotocopia di colleghi più affermati.
Ecco: quelli sono le Cherry Coke del mondo imprenditoriale. Operano con la mentalità del “anche io, anche io!”, sempre un passo indietro ai leader, senza differenziarsi. Il problema? Finiscono per dividersi le briciole rimanenti.
Non lo dico solo io: nel lungo periodo ogni mercato diventa una corsa a due cavalli. È una regola quasi immutabile (la chiamano proprio la “legge della dualità” nel marketing strategico). In ogni settore, col tempo si forma un duopolio: un leader e un forte inseguitore si prendono la fetta grossa, e tutti gli altri competitori minori messi assieme devono accontentarsi di ciò che resta.
Coca-Cola e Pepsi hanno dominato le cole per un secolo (e oggi persino Dr Pepper si è infilata sul podio, lasciando Pepsi al terzo posto). Negli energy drink globalmente comandano Red Bull e Monster, con quote attorno al 40% ciascuno, mentre gli innumerevoli altri marchi energetici si spartiscono il restante 20%.
Pensateci: Red Bull è il Coca-Cola degli energy drink, Monster è la Pepsi (anche se in realtà Monster – guarda caso – è nata con una strategia ben diversa da Red Bull, posizionandosi come alternativa “ribelle” invece che copiarla in fotocopia, e oggi infatti è co-leader).
Nel mondo dei fast food, McDonald’s è il leader indiscusso e di solito c’è un Burger King o KFC di turno come secondo; tutti gli altri burger joint “generici” faticano a emergere. Nei mercati locali la musica non cambia: spesso i due studi professionali più prestigiosi di una città (es. i due commercialisti, i due studi dentistici, i due studi immobiliari, le due palestre, i due centri estetici “top” ecc...ecc… in termini di reputazione) intercettano la maggioranza dei clienti appetibili, e ai restanti cinquanta studi “normali” rimangono le frazioni di mercato.
Il 70% delle vendite se ne va ai soliti noti, e il restante 30% è frammentato tra una miriade di piccoli player che arrancano. Insomma, primo e secondo fanno la parte del leone; chi arriva terzo, quarto, quinto e via giù nell’affollamento, prende le briciole. E spesso il terzo in giù non è altro che “l’ennesimo” simile ai primi, senza un motivo forte per preferirlo.
Cherry Coke rappresenta proprio questo: è “l’ennesima cola al gusto ciliegia” in un mondo (cola aromatizzata alla ciliegia) dove Dr.Pepper ha già preso tutto e ha già occupato la testa dei consumatori per lasciare spazio a una estensione di linea fatta male.
Non c’era fila di gente che implorava Coca-Cola di fare una cola alla ciliegia – quella domanda, per quanto limitata, era già soddisfatta da Dr Pepper. Cherry Coke è un “me too” in ritardo, un tentativo di aggrapparsi a un trend non creato da lei, senza avere l’autorevolezza di chi quel trend l’ha iniziato. E il mercato l’ha punita con l’indifferenza.
Crea la tua categoria: lezione da Al Ries & Jack Trout
Allora, qual è l’alternativa? Se inseguire e copiare i leader porta a un vicolo cieco, cosa dovrebbe fare un imprenditore intelligente? La risposta ce la forniscono da decenni i fondatori del posizionamento Al Ries e Jack Trout: differenziarsi, meglio ancora creare una nuova categoria in cui essere primi.
Nel loro classico “The 22 Immutable Laws of Marketing” c’è un principio che ogni imprenditore dovrebbe tatuarsi sul braccio: La legge della categoria. In sintesi: “Se non puoi essere il primo in una categoria, inventane una in cui puoi diventarlo”.
È esattamente quello che ha fatto Dr Pepper rispetto a Coca-Cola e Pepsi. Sapeva di non poter competere ad armi pari come “altra cola” (anche perché paradossalmente Dr Pepper è nata persino prima di Coca-Cola, nel 1885, ma non aveva mai avuto la forza del duopolio Coke-Pepsi). Allora che ha fatto?
Ha smesso di giocare secondo le regole dei leader. Non ha cercato di essere “un’altra cola simile”. Ha puntato su un gusto totalmente diverso, su un posizionamento unico (il blend segreto di 23 sapori alla ciliegia) e su un brand separato.
In altre parole, Dr Pepper ha creato la propria categoria mentale: non è percepita come una “cola alla ciliegia” qualunque, bensì come “Dr Pepper”, un tipo di bevanda a sé stante. Chi la beve, spesso non la considera nemmeno una cola, ma qualcos’altro. Ed ecco che oggi, dopo anni di questo posizionamento coerente, Dr Pepper raccoglie i frutti arrivando addirittura a sorpassare Pepsi. Ha vinto la sua battaglia non inseguendo frontalmente i leader sul loro terreno, ma aprendo una strada diversa.
Ries e Trout in un’altra delle loro leggi immutabili mettono in guardia dalla estensione di linea selvaggia: cioè dalla tentazione irresistibile di appiccicare il tuo marchio storico su qualsiasi nuova variante pur di arraffare vendite di breve periodo.
Coca-Cola negli anni ‘80 è caduta proprio in questa tentazione: Coke, Diet Coke, Cherry Coke, New Coke, ecc. Un giorno era un’azienda focalizzata e redditizia su un prodotto forte, il giorno dopo inseguiva mille sottovarianti perdendo focalizzazione.
Cherry Coke è figlia di questa logica. Ries e Trout avrebbero previsto il suo destino: “line extension” non è innovazione, è annacquare il marchio. Al contrario, l’innovazione vera è spesso di sottrazione: avere il coraggio di sacrificare possibilità per concentrarsi su una posizione chiara.
La legge del sacrificio dice proprio che per ottenere qualcosa bisogna rinunciare a qualcos’altro. Coca-Cola, volendo essere tutto per tutti (anche la marca di cola alla ciliegia, alla vaniglia, al limone, ecc.), finisce per indebolire la sua identità di “cola classica”.
Un brand più snello come Dr Pepper invece ha tutto da guadagnare restando focalizzato sulla sua unicità: chi vuole quel gusto va direttamente su Dr Pepper, punto. Non c’è confusione.
In “Positioning: The Battle for Your Mind”, Ries e Trout spiegano che il marketing è una guerra di percezioni, non di prodotti. Nella mente del cliente c’è spazio per pochi nomi vincenti per categoria.
Se dici “cola”, pensano a Coca-Cola o Pepsi.
Un terzo nome in quella categoria difficilmente attecchisce, a meno di non cambiare le regole del gioco. Positioning insegna proprio a trovare un angolo diverso dal quale entrare nella mente del cliente.
Dr Pepper lo ha trovato (il gusto inconfondibile, la “non-cola”) e si è posizionata come l’anti-cola per chi vuole qualcosa di originale. Cherry Coke invece cosa ha posizionato nella mente? Poco o nulla, perché è legata a Coca-Cola (brand percepito come la cola tradizionale) ma con un twist che confonde.
Non è né Coca-Cola classica (con tutta la sua heritage) né una bevanda completamente nuova con un proprio spazio. È una via di mezzo insipida nella percezione del pubblico.
Al Ries nel libro “Marketing Warfare” fa un parallelo bellico chiarissimo: il leader di mercato è come un esercito trincerato. Attaccarlo frontalmente sullo stesso campo è quasi sempre suicida, a meno di forze nettamente superiori. L’alternativa per i concorrenti più piccoli è il flanking, l’attacco di fianco su un terreno scoperto dal leader, oppure la guerriglia in piccole nicchie.
In altre parole: vai dove il grande non ti segue. Dr Pepper, con la sua differenziazione di gusto, fu un classico esempio di strategia di fianco: ha colpito una zona (il palato dei consumatori annoiati dalla cola classica) che né Coca-Cola né Pepsi all’epoca presidiavano.
E ha resistito abbastanza a lungo da costruirsi una roccaforte in quello spazio. Cherry Coke invece cos’è stato? Paradossalmente, un contrattacco mal congegnato del leader nel terreno del concorrente: Coca-Cola ha provato a fare concorrenza a Dr Pepper sul sapore ciliegia, ma in modo goffo, usando il proprio nome principale (invece di creare un nuovo brand) e senza grande convinzione strategica. Il risultato è stato simile a certi disastri militari: un esercito potente che però si avventura fuori dalle sue fortezze senza strategia, subendo perdite inutili.
Coca-Cola avrebbe potuto, per dire, lanciare un marchio totalmente nuovo per la sua cola alla ciliegia, così da darle un’identità propria (un po’ come fece Charles Leiper Grigg quando lanciò 7Up per competere nelle “soda al gusto limone” invece di chiamarla “Cola-Lemon”). Invece ha preferito allungare la coperta di Coca-Cola stessa… ritrovandosi con un prodotto né carne né pesce.
Esempi illustri: quando il clone affonda (e il leader gongola)
La lezione “non fare il me-too” riecheggia in mille storie di business. Un caso celebre? Virgin Cola negli anni ’90. Richard Branson, imprenditore geniale e vulcanico, decise che la sua Virgin poteva sfidare Coca-Cola e Pepsi sul loro terreno.
Forte del marchio Virgin (famoso per dischi, voli aerei, ecc.), lanciò Virgin Cola nel 1994, convinto che con un po’ di marketing non sarebbe stato così folle rosicchiare quote ai giganti delle bollicine.
Beh, finì malissimo. Virgin Cola arrivò al massimo a uno striminzito 0,5% di quota di mercato negli USA, nonostante i grandi annunci e qualche trovata pubblicitaria eclatante (Branson guidò persino un carro armato a Times Square schiacciando una gigantografia del logo Coca-Cola per farsi notare!).
Nel 2012 la produzione di Virgin Cola venne definitivamente interrotta, dopo che i colossi americani reagirono aggressivamente schiacciando ogni spazio di Virgin nei supermercati. Branson stesso, con la sua proverbiale ironia, definì Virgin Cola “la mia più grande disfatta”.
Ammise che quell’avventura gli aveva insegnato a non sottovalutare il potere dei leader di mercato: “Non penserò mai più che le grandi aziende dominanti siano dormienti!” scrisse, dopo aver preso atto di quanto Coca-Cola e Pepsi potessero schiacciare qualunque sfidante tardivo.
Insomma, anche un imprenditore miliardario con un brand famoso ha fallito nel tentativo di fare la copia ritardataria dei leader. Il suo prodotto non offriva nulla di significativamente diverso (era una cola qualsiasi col marchio Virgin sopra) e i consumatori non avevano motivo di abbandonare Coke o Pepsi per provarla, se non la curiosità momentanea. Fine dei giochi: Virgin Cola è sparita, e Branson “si è divertito comunque” ma ha imparato la lezione.
Possiamo citare altri esempi: quanti social network fotocopia sono nati e morti cercando di replicare Facebook? O quante aziende tech hanno lanciato smartphone Android tutti uguali provando a fare concorrenza a Apple e Samsung, finendo però per bruciarsi (pensate ai tanti marchi cinesi minori che appaiono e scompaiono, mentre i primi 2-3 brand mondiali si prendono quasi tutto il mercato).
Oppure prendete l’auto elettrica: oggi Tesla domina come leader, qualcun altro (ad esempio BYD in Cina) emerge come co-leader, e una pletora di startup automobilistiche minori nate sull’onda del “anche io EV” stanno già sparendo dalla circolazione.
Forse possiamo coltivare qualche dubbio sul futuro di Tesla ma lo faremmo solo per l’eccentricità e la defocalizzazione di Elon Musk (mentre scrivo ha appena annunciato di aver fondato un suo partito politico e la borsa ha subito punito Tesla!) che per il progetto e il brand in sè. Essere l’ennesimo è una condanna alla marginalità.
Guardiamo anche in casa nostra, nel piccolo. Se aprite un ristorante e lo fate identico nel concept a quello di successo in città, magari riuscite a campare, ma resterete uno dei tanti.
Il locale iconico (leader) farà sempre il pienone; il secondo più noto (co-leader) avrà i suoi clienti abituali; voi e gli altri cinquanta cloni vi dividerete quelli che transiteranno quando i primi due sono pieni o lontani.
Non è così che si costruisce un impero, vero? Essere la copia sbiadita di un altro vi condanna a vivere di riflesso. E non illudetevi che “ci sono soldi in quel mercato, quindi basta entrarci”: i soldi grossi li fa chi quel mercato lo definisce, non l’ultimo arrivato senza differenze.
Sii Dr Pepper, non la solita Cherry Coke
Arriviamo al dunque: in un mondo di Cherry Coke, sii la Dr Pepper. Cosa significa per te, imprenditore o professionista? Significa rifiutare di essere la fotocopia di qualcun altro. Significa smettere di rincorrere le mode solo perché hai visto che “c’è gente che ci guadagna”.
Se tutti fanno la stessa cosa, tu trovane una tua. Se esiste già un leader fortissimo in quello che fai, non metterti a imitare ogni sua mossa sperando di strappargli clienti: finirai per fare la sua parodia, non una scelta valida.
Piuttosto, cerca una variante, una nicchia, un twist che il leader trascura, e mettici il tuo marchio sopra con orgoglio. In altre parole, crea la tua categoria personale.
Magari questo vuol dire specializzarti in un sotto-settore: ad esempio, invece di essere “l’ennesimo agente immobiliare per tutti”, potresti diventare il numero 1 nella vendita di soluzioni di lusso al mare in “regione x” (un mio cliente fa proprio così) e dominare quella categoria che nessuno ha ancora presidiato bene.
Oppure, se hai un prodotto, potresti puntare su una caratteristica unica e costruirci attorno tutto il brand, senza paura di alienare qualcuno. Meglio essere fortissimi per pochi che mediocri per tanti, perché i “tanti” comunque sceglieranno i big del settore.
Dr Pepper per decenni ha avuto una quota di mercato piccola rispetto ai giganti, ma quei consumatori erano suoi al 100% – fedeli perché non trovavano quel gusto da nessun’altra parte. Piano piano quella nicchia è cresciuta, e oggi guardate dove è arrivata: seconda solo a Coca-Cola.
Invece chi cercava di prendere “un po’ di tutti” senza identità forte (tipo le mille cole generiche da supermercato o appunto Virgin Cola) sono rimasti brand fantasma.
Certo, creare una nuova categoria o differenziarsi radicalmente richiede coraggio. Significa anche accettare che all’inizio potresti non piacere alle masse, e va bene così.
Meglio essere il preferito di qualcuno che il “mai sentito” di tutti. Pensaci: preferiresti avere un piccolo gruppo di clienti entusiasti che ti adorano perché sei unico, o essere conosciuto da tanti ma scelto da nessuno perché “sei uguale agli altri”? La fedeltà nasce dall’unicità, non dall’essere intercambiabili.
Inoltre, quando crei la tua categoria, imposti tu le regole. Diventi il riferimento, il primo nella mente in quella nicchia. Tutti gli altri che eventualmente ti seguiranno dovranno confrontarsi col fatto che tu hai il vantaggio del first mover.
Come dice Al Ries: “È meglio essere i primi nella mente che i primi sul mercato”, perché la battaglia si vince nel cervello del cliente, non in laboratorio. Dr Pepper, pur non essendo stata la prima cola sul mercato, è riuscita a essere la prima nella mente dei consumatori quando pensano a un certo tipo di gusto (cola alla ciliegia/vaniglia). Se dici “cola alla ciliegia” molti pensano Dr Pepper, non Coca-Cola Cherry.
E a quel punto, il gioco è fatto: hai preso possesso mentale di quel concetto. Ogni concorrente verrà percepito come il numero 2 o 3 di quell’idea.
Quindi, non aver paura di essere diverso. Anzi, se la gente all’inizio reagisce con un “ma sei matto? Questa idea è strana, non l’ha mai fatta nessuno!”, probabilmente sei sulla buona strada. L’innovazione vera spiazza, all’inizio. Agli albori, molti avranno storto il naso di fronte al gusto insolito di Dr Pepper – “sa di medicina” dicevano alcuni – eppure proprio quella “medicina” oggi vende più della Pepsi.
Immagina se invece Dr Pepper avesse cercato di fare semplicemente la cola uguale a Coca-Cola: sarebbe scomparsa un secolo fa.
In conclusione, nel marketing come nella vita vince chi ha identità forte. Cherry Coke non ne ha: è un clone, vive all’ombra di un altro brand, e infatti nessuno se ne cura. Dr Pepper invece ha carattere da vendere: o la ami o la odi, ma di certo sai cos’è. E alla lunga, avere carattere paga, perché trovi chi ti ama. Se sei un imprenditore o professionista, chiediti: qual è la “ciliegina” che tutti inseguono? E come posso invece essere il peperoncino originale che nessuno dimentica?
Lascia agli altri il ruolo dei Cherry Coke, i “mee-too” sempre in ritardo. Tu punta a essere la Dr Pepper del tuo settore: unico, inconfondibile, magari controcorrente. Forse all’inizio brinderai da solo, ma col tempo saranno gli altri a brindare… con la tua bevanda. E quel giorno, guardandoti indietro, ringrazierai di non aver seguito il gregge delle copie, ma di aver tracciato una strada nuova. Perché in un mondo di cloni insipidi, l’originale dal gusto forte vince sempre.
In un mondo di Cherry Coke, sii la Dr Pepper. Alla salute!
E ora, se ti sei già iscritto guarda questo magnifico corso che ho reso gratuito per te: L’ultimo intervento al mondo tenuto dal mio maestro, Al Ries durante un nostro evento.