Chi mi segue da tempo sa che negli anni ho scritto e fatto video sul marketing GROM e sulle varie iniziative dell’azienda. Se inizialmente ero (da addetto ai lavori) un “fan” dell’azienda, nel tempo mi sono trovato disilluso e costretto a criticare in maniera sempre più decisa ogni singola mossa del brand. Questo articolo serve a “mettere tutto insieme” ed aggiungere alcuni dettagli importanti per i piccoli imprenditori, per evitare che commettano gli stessi errori di quella che poteva essere una bella realtà tutta italiana.
Grom nasce a Torino nel 2003 dall’idea di due amici sotto i trent’anni, Guido Martinetti e Federico Grom, con un obiettivo semplice ma ambizioso: creare “il gelato come una volta”.
In poco tempo il primo negozio in piazza Paleocapa attira folle di clienti affascinati dalla qualità e dall’esperienza d’altri tempi: gelato artigianale servito in pozzetti tradizionali, personale in uniforme old-style e ingredienti freschi a km zero dalla loro fattoria nelle Langhe.
Il passaparola genera code fuori dal negozio, e quelle code si traducono in incassi reinvestiti subito per aprire nuove gelaterie. Grazie a un posizionamento di nicchia ben definito, Grom cresce rapidamente: in pochi anni apre decine di punti vendita in Italia e all’estero (New York, Parigi, Tokyo, ecc.), arriva a 67 gelaterie nel mondo e attira investitori prestigiosi (tra cui Illy).
Nel 2015, con un fatturato di circa 30 milioni di euro ma sommersa dai debiti, Grom viene acquisita dal colosso Unilever. Sembra l’inizio di un’ulteriore espansione globale, ma da lì a pochi anni il “gelato come una volta” perde smalto: Unilever cambia strategia puntando sulla vendita nei supermercati, molte gelaterie chiudono e il fascino artigianale si affievolisce.
I conti peggiorano ulteriormente, con perdite nette in aumento (7,7 milioni nel 2018) nonostante i ricavi in crescita, e gli stessi fondatori abbandonano l’azienda nel 2019.
Oggi Grom è un caso emblematico di ascesa e declino, ricco di lezioni per gli imprenditori. Voglio quindi analizzare la sua storia attraverso le 22 Immutabili Leggi del Marketing di Al Ries e Jack Trout, evidenziando dapprima le leggi rispettate che ne hanno favorito il successo iniziale, e poi quelle ignorate o violate che hanno condotto Grom alla crisi e al declino del brand.
Il successo iniziale di Grom e le leggi di marketing rispettate
Legge della Categoria: crearsi una nicchia vincente
Fin dall’inizio Grom applica magistralmente la Legge della Categoria: se non puoi essere il primo in una categoria esistente, creane una nuova. Nel 2003 il mercato italiano del gelato è affollato di gelaterie artigianali tradizionali e catene industriali, ma nessuno aveva ancora creato una catena di gelaterie di alta qualità con un’immagine artigianale coerente.
Grom si è inventata di fatto una nuova categoria – quella del gelato premium “come una volta” in formato catena – e ne è diventata subito il leader indiscusso. Invece di competere frontalmente con le gelaterie artigianali di quartiere, Grom si posiziona come la prima gelateria artigianale di qualità diffusa a livello nazionale e internazionale.
Essere “primi” in questa nuova categoria ha dato un enorme vantaggio di marketing (Legge della Leadership: è meglio essere i primi che i migliori). Grom è percepita come pioniera del gelato naturale e di qualità, un posizionamento che attira immediatamente l’attenzione dei media e dei consumatori.
Il concept innovativo – niente coloranti o aromi, materie prime selezionate e filiera propria (persino una propria azienda agricola per frutta e latte) – ha differenziato Grom da qualsiasi altra gelateria esistente.
Questo posizionamento unico ha reso irrilevante la concorrenza tradizionale: nella mente del pubblico Grom non era “una gelateria tra le tante”, ma la gelateria di una nuova categoria a sé stante.
I risultati lo confermano: il primo negozio di Torino fu sommerso dal buzz mediatico e dal passaparola, con file interminabili di clienti attirati dall’esperienza inedita. Quel successo iniziale locale ha permesso a Grom di espandersi rapidamente in altre città, portandosi dietro l’aura di primo della categoria ogni volta che entrava in un nuovo mercato.
In sintesi, Grom ha rispettato la legge della categoria creando e dominando un proprio spazio di mercato, il che ha gettato le basi per il suo successo iniziale.
Legge della Focalizzazione: fare una cosa sola, ma farla al top
Un altro elemento chiave del decollo di Grom è stata la rigorosa focalizzazione sull’offerta e sul messaggio. Al Ries sostiene che nel marketing “il concetto più potente è possedere una parola nella mente del cliente”, e Grom ci è riuscita: quella parola era “gelato autentico” (o “gelato come una volta”). Per anni, ogni aspetto del business Grom ha ruotato attorno a questa idea centrale, senza distrazioni.
Il menu nei negozi Grom era limitato al gelato e pochi prodotti complementari; inizialmente niente caffetteria, niente pasticceria, zero divagazioni. I gusti offerti puntavano più sulla qualità degli ingredienti che sulla quantità delle scelte: creme classiche e sorbetti di frutta di stagione, tutti realizzati con materie prime eccellenti (acqua di sorgente, uova da galline allevate a terra, nocciole IGP, ecc.).
Questa disciplina nel non allargare l’offerta all’inizio – sacrificando magari vendite addizionali di altri prodotti – ha permesso a Grom di concentrare tutti i propri sforzi nel fare un gelato eccezionale e nel comunicare efficacemente la propria unicità.
La Legge del Sacrificio dice che bisogna rinunciare a qualcosa per ottenere qualcos’altro, e Grom nei primi anni ha rinunciato volutamente all’estensione di linea, alla diversificazione e perfino alla visibilità del prodotto (niente vaschette colorate in vetrina, ma pozzetti d’acciaio che nascondono il gelato alla vista) pur di rafforzare il proprio posizionamento particolare.
Questa focalizzazione estrema ha costruito un brand molto coerente: quando i clienti pensavano a Grom, pensavano subito al gelato eccellente e genuino. Grom aveva insomma “occupato” quel concetto nella mente del pubblico (Legge della focalizzazione) e lo difendeva mantenendo laser-focus sul suo core business.
La coerenza nel messaggio “gelato come una volta” è stata esemplare. Ogni negozio presentava la stessa esperienza: dall’arredamento sobrio e un po’ rétro, ai colori e al logo, fino alle divise dei gelatai. Tutto comunicava tradizione, purezza e qualità.
Persino le iniziative di marketing iniziali rafforzavano il focus sul prodotto e sulla filiera: celebri le giornate di degustazione in cui, per ogni gelato venduto, Grom regalava albicocche o pesche biologiche provenienti dalla propria azienda agricola, fino a esaurimento del raccolto.
Era un modo per dire: “amiamo così tanto gli ingredienti naturali che ve li regaliamo pure”. Queste mosse, oltre a generare simpatia, cementavano l’idea che Grom facesse una cosa sola (il gelato) e la facesse con una passione e una qualità senza compromessi.
La focalizzazione ha pagato: in pochi anni Grom è diventato un caso di successo osservato da tutti, tanto da attirare endorsement come quello dell’allora premier Matteo Renzi (fotografato in mondovisione con una coppetta Grom) e l’interesse di partner internazionali.
Quando un brand è focalizzato, spesso cresce più velocemente perché il messaggio chiaro attira investitori e facilita l’espansione: nel 2011 entrano soci come Illy e un fondo giapponese, portando capitali freschi e spingendo i ricavi a 23 milioni.
Grom ha dimostrato sul campo la potenza della legge della focalizzazione: ha conquistato il mercato dicendo no a tutto ciò che poteva indebolire il suo posizionamento, almeno fino a quando i fondatori hanno avuto il controllo totale.
Legge della Percezione (e della Mente): vendere un’idea, non solo un prodotto
Il trionfo iniziale di Grom si deve anche alla piena comprensione della Legge della Percezione: “Il marketing non è una battaglia di prodotti, ma di percezioni”.
Grom ha saputo costruire attorno al proprio gelato un’immagine percepita di assoluta eccellenza e autenticità, a prescindere dalla realtà produttiva industriale che stava dietro le quinte. In altre parole, ha vinto nella mente dei clienti prima ancora che nello stomaco.
Ad esempio, Grom comunicava come “artigianale” un gelato che in realtà veniva prodotto con processi centralizzati industriali: le miscele liquide pastorizzate erano preparate nello stabilimento di Mappano (Torino), imbustate e surgelate, poi inviate ai punti vendita dove venivano mantecate in gelateria.
Dal punto di vista tecnico, questo modello non è il classico laboratorio artigianale in-store, e infatti a un certo punto un’associazione consumatori obbligò Grom a rimuovere la dicitura “gelato artigianale” dalle comunicazioni.
Ma questo non ha intaccato il successo iniziale, perché Grom aveva già vinto la battaglia delle percezioni: agli occhi del grande pubblico Grom era il gelato artigianale per eccellenza, al di là delle definizioni formali. Ries e Trout sottolineano che è fondamentale essere i primi nella mente dei clienti e Grom c’è riuscita facendo leva sull’immaginario della tradizione italiana.
Ha raccontato una storia – gelato come quello di una volta, fatto con frutta fresca e metodi antichi – che i clienti volevano sentirsi raccontare. E poco importava se in concreto la produzione fosse modernissima: quell’aspetto rimaneva “dietro il sipario”, mentre davanti si vedevano solo gli elementi giusti (pozzetti invece di vaschette a vista, personale che mescola la miscela sul momento, ecc.).
Per la maggior parte dei clienti l’artigianalità di Grom era percepita “più come un elemento estetico e comunicativo che non come un’effettiva qualità dell’alimento”. Esattamente: era tutta una questione di percezione.
Grom ha dunque rispettato la Legge della Mente: ha occupato una posizione privilegiata nella mente del pubblico, diventando sinonimo di gelato di qualità. Negli anni d’oro, chiedendo a un consumatore medio “qual è il miglior gelato?”, molti avrebbero risposto “Grom”, indipendentemente da valutazioni organolettiche oggettive.
Questo è il potere del branding: Grom ha venduto un’idea (tradizione, qualità, eccellenza italiana) oltre che un prodotto. E quell’idea, supportata comunque da un prodotto buono, ha permesso all’azienda di espandersi con successo in contesti competitivi difficili come New York: nella Grande Mela le foto delle lunghe file fuori dal negozio Grom dell’Upper West Side furono il miglior biglietto da visita per impressionare gli investitori americani.
In sostanza Grom, nei suoi primi anni, ha costruito un marchio fortissimo rispettando alcune delle leggi fondamentali del marketing: ha creato una nuova categoria ed è stata leader (Categoria/Leadership), si è focalizzata sul suo core business (Focalizzazione/Sacrificio) e ha plasmato la percezione nel pubblico (Mente/Percezione). Purtroppo, il seguito della storia vede un progressivo abbandono di questi principi, con conseguenze devastanti. Ed è qui che io ho iniziato a innervosirmi sempre di più…
Le leggi del marketing violate: errori strategici e declino di Grom
Se l’ascesa di Grom si spiega con le giuste mosse di posizionamento, la caduta avvenuta dopo il 2015 è un classico esempio di ciò che accade quando si infrangono le leggi immutabili del marketing. Successo e abbondanza di risorse (grazie a Unilever) hanno portato a scelte miopi: estensioni di linea scriteriate, espansioni mal gestite e una perdita d’identità del brand. Analizziamo le principali leggi violate da Grom e come ciò ha contribuito alla crisi finanziaria e di immagine.
Legge dell’estensione di linea: diluizione di un brand puro
Al Ries e Jack Trout mettono da sempre in guardia: “C’è una pressione irresistibile a estendere il patrimonio di marca”, ma cedere a questa tentazione è spesso fatale. Grom purtroppo è caduta proprio in questa trappola dopo l’acquisizione da parte di Unilever.
Invece di continuare a rafforzare il posizionamento premium e l’esperienza nei suoi punti vendita, l’azienda ha cominciato a lanciare nuovi prodotti a marchio Grom in canali completamente diversi. Il caso più eclatante è stato l’arrivo dei prodotti Grom nella GDO (grande distribuzione organizzata): all’improvviso il gelato “come una volta” è comparso nei supermercati, nei bar e nelle stazioni di servizio, dentro congelatori brandizzati Grom pieni di ghiaccioli confezionati, coni e barattolini.
È difficile immaginare una mossa più distante dal posizionamento iniziale: fino a quel momento Grom aveva venduto coni e coppette di gelato fresco preparato al momento, in un contesto controllato (le proprie gelaterie). Ora il marchio si trovava appiccicato su gelati confezionati da consumo di massa.
Le conseguenze negative di questa estensione di linea sono state immediate. Come a dire, “se fino a quel momento hai investito e comunicato su coni e coppette di qualità, il ghiacciolo confezionato offerto con lo stesso marchio suona un po’ distonico”.
Non solo stona: snatura proprio la promessa di marca. Ghiaccioli industriali e barattoli nei freezer del supermercato tolgono aura al brand Grom, facendolo percepire meno esclusivo e più ordinario.
Lungi dall’attirare i clienti delle gelaterie verso nuovi prodotti, questa mossa ha probabilmente ottenuto l’effetto opposto: chi amava Grom per la sua artigianalità ha iniziato a dubitare (“se adesso vendono i gelati al supermercato, saranno ancora speciali come prima?”), mentre nel canale GDO Grom è solo uno dei tanti gelati confezionati – peraltro più costoso della media.
La legge della percezione qui si è rivoltata contro: il marketing è percezione e non prodotto, e vedere il marchio Grom su un ghiacciolo confezionato ha alterato la percezione che i consumatori avevano dell’intero brand.
In pratica, Grom ha perso il suo posizionamento distintivo premium confondendo il pubblico:
É un marchio artigianale esclusivo o un prodotto da supermercato di massa?
Non può essere entrambe le cose.
(L’immagine emblema del fallimento del progetto GROM)
Questa violazione della legge dell’estensione di linea è collegata anche alla violazione della Legge del Sacrificio. Invece di rinunciare a opportunità non coerenti per conservare intatto il focus (come avevano fatto agli inizi), i nuovi proprietari hanno voluto “tutto”: volevano aumentare i volumi di vendita spremendo il marchio su quanti più prodotti possibile.
Il risultato è il tipico “suicidio del brand” per sovraestensione: un marchio nato per significare eccellenza in un ambito ristretto viene stiracchiato su prodotti eterogenei, perdendo significato e appeal. Io stesso una volta ne scrissi su Linkiesta dicendo “Così si uccide un brand appena nato”, sottolineando come Unilever, dopo l’acquisizione, abbia puntato su una estensione di linea per pompare artificialmente il fatturato di Grom.
È un chiaro esempio anche della Legge della Prospettiva: azioni di marketing che portano benefici a breve termine (più punti vendita, più referenze sugli scaffali, quindi ricavi subito in crescita) possono distruggere il valore di marca nel lungo periodo.
Infatti, a fronte di una “crescita complessiva del +46,7%” del brand grazie a tutti i canali e paesi (dato sbandierato da Unilever ma impossibile da verificare), il conto economico di Grom è precipitato in profondo rosso, con perdite milionarie e negozi costretti alla chiusura.
A poco è servito vantarsi di 44 milioni di fatturato globale se poi l’operazione ha distrutto la redditività e l’immagine costruita in precedenza. In definitiva, ignorare la legge dell’estensione di linea è costato carissimo a Grom: lanciando coni, biscotti, cioccolate calde e vaschette a marchio Grom, il brand ha perso la propria identità chiara, confondendo il pubblico e finendo in una terra di nessuno del marketing.
Per un brand come Grom, l’estensione di linea indiscriminata è stata un errore strategico madornale. Da caso esemplare di focalizzazione, Grom è diventato l’esempio di cosa succede quando si vuole allungare un marchio oltre il lecito: si rompe “quel sottile equilibrio su cui si era investito per dare un senso artigianale al brand” e tutto crolla.
La lezione per ogni imprenditore è chiara: se il vostro marchio significa qualcosa di preciso e di forte, resistete alla tentazione di appiccicarlo su qualunque prodotto pur di fare cassa nel breve termine. Si rischia di perdere in un colpo solo anni di posizionamento. Grom ha ignorato questa legge immutabile, pagando con un posizionamento premium distrutto e una crisi finanziaria culminata con il ridimensionamento forzato delle attività.
Legge del Successo (e dell’Arroganza): espansione incontrollata e sogni di gloria globali
Il successo spesso porta all’arroganza e l’arroganza al fallimento. Questa legge del marketing calza a pennello con la parabola di Grom post-2010. Sull’onda dell’entusiasmo – code fuori dai negozi, stampa osannante, ingressi di soci importanti – Grom ha iniziato a credersi infallibile e ha intrapreso un’ambiziosa (per non dire sconsiderata) espansione internazionale.
Diventare “la bandiera dell’alta qualità nel mondo” era l’obiettivo dichiarato. Nel giro di pochi anni, la piccola gelateria torinese apriva filiali a New York, Los Angeles (Malibu e Hollywood), Parigi, Dubai, Jakarta, Osaka e perfino Tokyo.
Essere presenti in molti mercati esteri non è di per sé un errore, ma lo diventa se fatto senza la dovuta pianificazione e senza controllo dei dettagli operativi. Aprire una gelateria italiana a Tokyo, per esempio, comporta sfide enormi: adattarsi ai gusti locali, gestire da remoto la qualità, sostenere costi fissi altissimi in location prestigiose.
E infatti i segnali del passo più lungo della gamba non hanno tardato ad arrivare. Alcuni flagship store all’estero non sono mai decollati davvero – emblematico il negozio di Tokyo Harajuku, aperto con fanfara e chiuso dopo poco tempo per scarsità di clienti. Anche in patria, Grom ha moltiplicato i punti vendita arrivando a oltre 50 negozi in Italia, alcuni aperti in città secondarie o con modalità (chioschi, corner) che non replicavano l’esperienza originaria.
Questa corsa all’espansione ha violato la Legge della Focalizzazione (il focus geografico si è disperso, le energie dei manager diluite su troppi fronti) e anche la Legge delle Risorse: per dominare nuovi mercati servono capitali e competenze enormi.
Grom, pur con i reinvestimenti continui degli utili e l’ingresso di soci, non era strutturata per gestire decine di negozi in continenti diversi mantenendo gli standard iniziali.
Già nel 2011 i fondatori si erano resi conto di aver bisogno di aiuto, cedendo una quota a Illy e cercando partner finanziari per sostenere la crescita internazionale.
L’arrivo di Unilever nel 2015 va interpretato anche così: Grom da sola non ce la faceva più, i conti erano in profondo rosso da anni e l’unico modo per continuare a crescere (o sopravvivere) era farsi acquisire da un gigante con le tasche profonde.
Unilever ha portato certamente risorse (iniezioni di capitale, un finanziamento interno di 16 milioni di euro per ripianare i debiti e sostenere i piani di sviluppo), ma a quel punto il danno di una sovra-espansione semi-fallimentare era già fatto.
Nel bilancio 2018 di Grom compaiono pesanti svalutazioni delle partecipazioni in Grom USA e Grom Japan, segno che quelle avventure estere avevano bruciato valore e subìto ridimensionamenti. In pratica, l’espansione estera di Grom si è rivelata in parte un boomerang: doveva diversificare e far crescere il business, invece ha contribuito ad aumentare le perdite e il debito.
Da un punto di vista delle leggi del marketing, Grom ha ignorato la Legge dell’Imprevedibilità: non puoi sapere con certezza come andrà in un nuovo mercato finché non ci sei.
Un brand forte in Italia non garantisce affatto successo in Asia o in America se non si considerano le differenze culturali e competitive. Forse accecati dall’arroganza del successo domestico (Legge del Successo), i fondatori hanno sottovalutato la complessità di gestire un business globale.
Questa hybris è comune in molte PMI italiane di successo: si pensa “il nostro prodotto va alla grande qui, conquisteremo il mondo”, senza però adattare il modello o senza prepararsi a competere con giganti locali. Nel caso di Grom, portare il gelato italiano ovunque è risultato molto più difficile del previsto e ha messo l’azienda finanziariamente alle corde (bilanci in rosso, necessità di continue ricapitalizzazioni).
È indicativo che Federico Grom, nella relazione di gestione 2019, citasse un “mercato italiano in contrazione” come motivo per spingere sull’internazionalizzazione. Quindi l’espansione non era nemmeno guidata da una posizione di forza, ma dalla necessità di compensare problemi in patria – una strategia doppiamente pericolosa.
La Legge del Fallimento suggerisce di accettare gli insuccessi e tagliare ciò che non funziona. Grom avrebbe dovuto chiudere prima le sedi estere in perdita, invece di tenerle fino a doverle svalutare pesantemente a posteriori.
In sintesi, l’aver ignorato i limiti strutturali e la realtà dei numeri in nome di una visione grandiosa “Grom nel mondo” ha portato l’azienda ad allungarsi troppo. L’espansione aggressiva, non supportata da un’adeguata strategia e sostenibilità, è stata un errore strategico dettato dall’ego (violazione della legge del successo) più che da un’analisi prudente.
La lezione è che, per quanto forte sia il tuo brand locale, l’internazionalizzazione va affrontata con umiltà e realismo, consci che ogni nuovo mercato è un campo minato. Grom invece si è lanciata a spron battuto e ne ha pagato le conseguenze con ridimensionamenti e perdite economiche. Un proverbio da ricordare: “chi troppo vuole nulla stringe” – il marketing lo conferma.
Legge della Percezione (di nuovo) e perdita di posizionamento distintivo: l’era Unilever e la fine dell’illusione artigianale
Un’altra legge fondamentale infranta durante il declino di Grom è nuovamente quella della Percezione. Se Grom aveva vinto inizialmente giocando con la percezione di artigianalità, l’arrivo di Unilever e le scelte successive hanno modificato radicalmente il modo in cui il pubblico vedeva il brand.
All’indomani dell’acquisizione, Unilever rassicurò che Grom sarebbe rimasta autonoma e gestita dai fondatori. Di fatto però, nel giro di qualche anno, Grom ha cessato di essere percepita come la piccola impresa artigianale e locale, diventando “un marchio dei gelati Algida”.
Nell’immaginario del cliente informato, Grom è passata da startup innovativa italiana a brand di proprietà di una multinazionale. Questo di per sé può non essere un problema (molti brand restano forti anche dopo acquisizioni), ma nel caso di Grom l’intera promessa di marca era basata sull’autenticità e la passione dei fondatori.
Una volta che quei fondatori si defilano (e nel 2019 entrambi si sono dimessi o sono stati allontanati dai ruoli operativi) e il controllo passa a manager di Unilever, è difficile continuare a credere alla favola della gelateria “di una volta”.
Il famoso slogan stesso – “il gelato come una volta” – rischia di suonare vuoto quando i negozi chiudono a tappeto e il prodotto lo trovi principalmente al supermercato.
La perdita di posizionamento è evidente guardando l’evoluzione del network di vendita: il punto di forza originario di Grom erano le gelaterie monomarca (luoghi fisici dove vivere l’esperienza). Nel 2020, Unilever ha ridotto la rete di negozi a 43 unità in Italia, chiudendo anche la storica sede di Torino via Cernaia dove tutto era iniziato.
Contestualmente ha spinto la presenza del marchio nella grande distribuzione con chioschi, tricicli gelato e freezer nei supermercati. In pratica, Grom ha smesso di essere prevalentemente una gelateria per diventare un prodotto sugli scaffali.
Questo è un cambiamento di posizionamento enorme: da esperienza premium a commodity (per quanto premium possa essere venduto un barattolino al supermercato).
La Legge della Categoria insegna che col tempo una categoria tende a suddividersi. Nel caso del gelato, possiamo dire che si sono create almeno due categorie nette: gelato artigianale da gelateria e gelato confezionato da GDO.
Grom cercando di presidiare entrambe ha perso la leadership in quella in cui eccelleva (gelateria di qualità) senza diventare leader nell’altra (in GDO compete con brand ben più noti e radicati come Häagen-Dazs, Magnum, Sammontana, etc.).
In altre parole, ha abbandonato la propria categoria naturale e si è buttata in un’arena dove non aveva alcun vantaggio di primo ingresso (violazione sia della legge della categoria che della legge della leadership). Classiche scemenze da burocrati da multinazionale che non hanno idea di come si gestisca, si tuteli e si espanda un brand premium basato sull’artigianalità.
Un altro aspetto cruciale riguarda la fiducia dei clienti. Quando un brand costruisce la propria forza su certi valori (artigianalità, passione, autenticità), deve stare attento a non tradirli. La Legge dell’Esclusività dice che due marchi non possono possedere la stessa parola nella mente del consumatore.
Grom possedeva la parola “gelato artigianale”. Dopo la cura Unilever, quella parola è stata appannata e qualcun altro può averla presa. Oggi altre gelaterie (più piccole, magari a gestione familiare) possono rivendicare con maggior credibilità l’artigianalità, mentre Grom viene percepito come più industriale.
In definitiva la “finestra percettiva” si è spostata: il cliente appassionato di gelato di qualità probabilmente non considera più Grom il numero uno della categoria, ma guarda ad altri nomi emergenti più coerenti. La stampa stessa parla di Grom come di un brand dal “fascino dell’artigianato” spento.
E come abbiamo visto, c’è stato anche parte della stampa di settore che ha detto provocatoriamente: ora che Grom è di una multinazionale, finalmente possiamo smettere di parlarne (sottintendendo che non ha più nulla di speciale).
In termini di leggi del marketing, Grom ha ignorato la Legge della Percezione in due modi opposti: prima affidandosi troppo a una percezione costruita (pur non essendo artigianale nei fatti, ma almeno era coerente nell’immagine), poi, dopo la vendita, trascurando del tutto l’effetto che certe mosse avevano sulla percezione del pubblico.
Pensiamo alla comunicazione: all’inizio Grom si guardava bene dal farsi percepire come “industriale”, mentre dopo l’acquisizione non si è fatto nulla per evitare che il brand venisse associato ad Algida e ai prodotti da supermercato.
Anzi, la stessa Unilever ha interesse a uniformare logiche e canali. Così, nel momento in cui i fondatori si defilano e i negozi chiudono, Grom diventa un marchio come un altro, perdendo la sua anima. Questo ci porta anche alla Legge della Montatura Pubblicitaria: spesso la realtà è opposta a come appare sulla stampa.
Nel 2015 i comunicati e gli articoli annunciavano in toni positivi l’acquisizione (“nulla cambierà per il prodotto, cambia solo la capacità di distribuirlo”). In realtà, quella mossa conteneva il germe della trasformazione radicale (e distruttiva) del posizionamento. L’hype dell’epoca celava la verità: Grom stava per non essere più Grom.
La lezione qui riguarda l’importanza di proteggere gelosamente il posizionamento distintivo di un brand. Se il tuo punto di forza è l’autenticità, devi pensarci mille volte prima di venderlo a chi potrebbe diluirla. Se il tuo vantaggio è la nicchia, non buttarlo via per andare mainstream, a meno di avere un piano preciso per mantenere intatti i valori differenzianti.
Grom, cedendo il controllo, ha perso la capacità di mantenere coerente la propria marca. I fondatori stessi probabilmente l’hanno capito quando hanno visto Unilever chiudere la “loro” prima gelateria di Torino: non a caso nel 2019 hanno lasciato ogni incarico, sancendo simbolicamente la fine di un’era. Da lì in poi, Grom è diventata un altro brand di Unilever e agli occhi di molti consumatori “non è più quello di una volta”.
Altri errori strategici e lezioni finali
Oltre alle maggiori violazioni discusse, Grom ha commesso una serie di errori tattici e di gestione figli di quelle stesse violazioni di legge. Ad esempio, l’aver insistito su un modello centralizzato poco flessibile (tutte le miscele prodotte in Italia e spedite ovunque) ha creato inefficienze e costi enormi, contribuendo ai conti in rosso.
Quando i ricavi sono saliti grazie ai nuovi canali, i costi sono lievitati ancora di più, vanificando i benefici: nel 2018 Grom ha fatturato circa 32 milioni ma ha perso quasi 8 milioni. Questo illustra la Legge della Prospettiva in termini finanziari: se rincorri la crescita senza un modello sostenibile, nel lungo periodo pagherai il conto salato.
Un altro errore è stato non ascoltare il mercato: i segnali che la magia di Grom si stava appannando c’erano (clienti affezionati delusi dai barattoli in GDO, code sparite in alcuni negozi, recensioni tiepide sulla qualità altalenante all’estero), ma si è tirato dritto per la strada decisa da Unilever.
Qui c’è un pizzico di violazione della Legge della Sincerità: ammettere un problema (ad esempio comunicare che si sarebbe rivisto qualcosa per tornare alle origini) forse avrebbe salvato in parte la reputazione. Invece si è cercato di mascherare la situazione parlando di “strategia multicanale” e “crescita percentuale aggregata” (tutte fuffate bla bla bla da manager trombone appena uscito dall’università, tronfio di aver lanciato sugli scaffali di Esselunga la nuova variante di tè allo zenzero del Titicaca), mentre la realtà era negozi chiusi e debiti in aumento.
Infine, la Legge del Fallimento: un buon marketer sa quando fermarsi e tagliare i rami secchi. Unilever sta faticosamente applicando questa legge ora (chiudendo i punti vendita poco redditizi, riducendo il perimetro), ma forse l’avrebbe dovuta considerare prima di lanciare Grom in mille iniziative nuove.
Ogni errore di Grom dopo il 2015 sembra derivare dalla volontà di forzare le cose invece di accettare i limiti:
non accettare che certi negozi all’estero erano un fallimento (continuando a investire fino a svalutarli),
non accettare che Grom non potesse competere su tutti i fronti (volendo lanciare prodotti in ogni segmento),
non accettare infine che il brand stava perdendo appeal (illudendosi che bastasse la distribuzione più ampia a compensare).
L’epilogo – un brand fortemente ridimensionato, lontano parente di quello che fu – conferma che ignorare le leggi del marketing conduce inesorabilmente a situazioni di crisi.
Conclusione: La storia di Grom offre insegnamenti preziosi per ogni imprenditore di PMI. Inizialmente il marchio ha costruito il suo successo rispettando principi solidi di posizionamento:
focalizzazione,
distinzione,
coerenza di categoria,
gestione accorta della percezione.
Grom è cresciuta finché è rimasta fedele a sé stessa. I problemi sono iniziati quando, complici l’ego e poi le logiche di una grande multinazionale, si è cominciato a violare quelle stesse leggi: si è perso il focus, si è annacquato il significato del brand con estensioni di linea azzardate, si è corso troppo rischiando oltre le capacità, e soprattutto si è ignorato cosa realmente significava Grom nella mente dei clienti.
Come sostiene la Legge del Successo, il successo porta spesso alla rovina se fa perdere la disciplina. Grom è passata dall’essere un sinonimo di gelato di qualità a un esempio citato nei corsi di marketing di errore di posizionamento.
Oggi “il gelato come una volta” esiste ancora sui cartelli dei supermercati, ma suona un po’ ironico sapendo tutta la vicenda. La speranza è che gli imprenditori italiani facciano tesoro di questa storia: le leggi immutabili del marketing non perdonano.
Per costruire un brand solido e duraturo bisogna identificare una posizione chiara (meglio se nuova), difenderla con ferocia evitando le sirene dell’estensione facile, e ricordare sempre che nella percezione del cliente il tuo brand è qualcosa di fragile – basta poco per romperlo.
Grom ha avuto tutti gli ingredienti per dominare la propria nicchia a lungo, ma mescolandoli male ha “bruciato” la ricetta. Non commettete gli stessi errori: categoria, focalizzazione, coerenza e pazienza contano più dell’espansione veloce e dei fatturati effimeri. La storia di Grom lo insegna senza mezzi termini.
Alla prossima.
PS: Vuoi apprendere velocemente le strategie di marketing necessarie a portare la tua PMI al successo evitando di cadere in trappole fatali come ha fatto GROM?
Grazie. Questo è un post che conserverò con cura, soprattutto perchè è specifico del mio settore.
Love this! Reminds me of the “Italian Job” gelato recipe sprinkled with olive oil and fennel pollen I adapted from NYC restaurant Lilia for easy home cooking! Just one scoop can waylay a Mafia Mobster's most nefarious plottings.
check it out:
https://thesecretingredient.substack.com/p/get-nyc-restaurant-lilia-italian-job-gelato-recipe