Bentornati a tutti ragazzi, oggi parliamo di come costruire aziende di successo non con trucchi o magie segrete, bensì usando una leva fondamentale (spesso ignorata): le persone.
Sì, proprio loro, gli esseri umani in carne e ossa che ogni santo giorno costruiscono, vendono, gestiscono, creano, supportano e fanno crescere la tua attività.
Eppure molti imprenditori, soprattutto in Italia (ma anche in America e nel resto del mondo, tranquilli), sembrano divertirsi a fare tutto da soli.
Come se la formula magica fosse: “Io divento un supereroe e gestisco marketing, vendite, contabilità, assistenza, consegne, post sui social e… ah già, reclutamento.”
Applausi (ironici) a scena aperta. Il risultato? La scalata dell’azienda si trasforma in una corsa a ostacoli, si perde fiato e, immancabilmente, si finisce a dare la colpa a qualche divinità del business che ce l’ha con noi.
In realtà manca una sola, semplice cosa: costruire (e gestire) un grande team.
Quello di cui parleremo qui è la “roba noiosa” che però fa davvero guadagnare soldi. Parleremo del famoso “funnel” di cui mi sente parlare sempre chi frequenta i nostri corsi per la ricerca di talenti, speculare a quello di vendita.
Perché per ogni cliente (o lead) che acquisisci devi avere una persona in più che possa occuparsene in modo eccellente. Se punti davvero in alto (e di nuovo: non parliamo solo di mega-multinazionali, ma anche di PMI e perfino di microimprese pronte a esplodere), devi mettere in piedi un sistema replicabile, strutturato, e possibilmente veloce per trovare i collaboratori giusti.
Altro che “ti presento mio cugino”, “mio zio lavora gratis” o “l’ho trovato tramite un post su Facebook e tanto basta”. Non basta, e spesso finisce malissimo.
In questo articolo, quindi, voglio mostrarti come passare dall’essere l’unico cervello che fa tutto a diventare un vero leader che costruisce un team di più cervelli capaci di scalare l’azienda al posto tuo. Non è una impresa né facile, né banale né scontata ma con un po’ di pazienza e la giusta dose di attenzione sono certo che anche tu se ben motivato possa farcela.
Nel corso di questo articolo troverai anche qualche considerazione sulla nostra realtà italiana, in cui molte imprese nascono da iniziative familiari e rimangono incastrate in certi “meccanismi informali” dove magari si privilegiano amici e parenti, con la convinzione che questa sia l’unica via. Spesso, però, tutto ciò si traduce in incapacità di strutturare professionalmente il lavoro, di dare opportunità di crescita a talenti esterni e, in ultima istanza, di competere sui mercati globali.
Eccoti, dunque, il “funnel” dell’acquisizione talenti – generazione di candidature, gestione dei candidati e processo di intervista – direttamente dalla mia esperienza sul campo e pronto all’uso per te.
Per darmi un tono ci ho messo anche qualche citazione da grandi imprenditori e autori famosi, perché a volte serve l’autorità altrui per convincerci che alcune verità, per quanto noiose o scontate, vanno dette e seguite.
Avviso ai naviganti: userò un po’ di sarcasmo contro le cosiddette “vacche sacre” dell’imprenditoria italiana: quelle idee intoccabili che mettono su un piedistallo prodotto, qualità, cortesia, “nome”, il capannone come garanzia di affidabilità… come se il “fattore umano” fosse una nota a margine. Per quanto noto sul territorio locale tu sia, se non impari a costruire e gestire un dream team, ti assicuro che rimarrai sempre con il fiato corto, a guardare i concorrenti che si attivano che vanno a tripla velocità. Ma lo scopo è solo non farti annoiare nella lettura, tutti abbiamo gli stessi problemi. Quindi allaccia le cinture, non fare il permaloso e cominciamo!
Bene, andiamo al sodo.
Le (vere) basi della crescita: il “funnel parallelo” del reclutamento
Scommetto che in azienda hai un funnel di vendita o di marketing ben strutturato (o almeno lo desideri ardentemente): attiri i potenziali clienti (lead generation), li nutri con contenuti e follow-up (lead nurture) e concludi la vendita (sales). Fantastico. Ora immagina la stessa identica struttura, ma con un obiettivo diverso: trovare le persone giuste da assumere. A quel punto avrai:
Lead generation per candidati: attirare candidature di valore;
Lead nurture per candidati: gestire la comunicazione e l’approfondimento delle candidature ricevute;
Intervista (sales per candidati): il processo di intervista in cui “chiudi la vendita”, ossia offri il lavoro e assicuri che sia un “matrimonio” felice.
Se ti suona poco romantico, sappi che “vendere” un’opportunità di lavoro a un talento (che magari ha altre 10 offerte e la possibilità di mettersi in proprio) è molto simile a vendere un prodotto o un servizio. Devi convincerlo che la tua azienda è la scelta giusta. In più, devi evitare che lui/lei ti “freghi” con un curriculum gonfiato o con aspettative irrealistiche.
Il fulcro di tutto è la consapevolezza che, senza un sistema robusto per portare costantemente persone di talento, resti vittima dei tuoi limiti umani: c’è un tetto massimo di ore al giorno che puoi lavorare. E c’è un limite anche alla tua capacità di gestire aree dove magari non sei competente.
Ecco perché diversi imprenditori restano inchiodati a 200-300 mila euro l’anno di fatturato o a 2-3 milioni, a seconda della struttura, e non superano mai certe soglie. Non è una questione di funnel di marketing, ma di “funnel” di persone.
“Non ho costruito l’iPhone. Ho costruito il team che ha costruito l’iPhone.”
(Steve Jobs)
Ecco. Se ci pensi, non è stato Jobs da solo a inventare e realizzare tutti i prodotti. È stata gente selezionata, formata, motivata, coinvolta. Gente che ha le competenze specifiche.
E lui, come leader, orchestrava la visione e i processi. Qualcuno direbbe: “Eccerto, Jobs era un genio.” Sì, ma anche un genio che sapeva scegliere gli altri geni. Molti imprenditori si perdono in quell’unico cervello che pretende di fare tutto.
Prima tappa: la generazione di candidature
1. Annunci di lavoro che funzionano come vere campagne di marketing
Mettiamocelo bene in testa: se sai vendere un prodotto, sai anche reclutare persone. Il concetto è uguale: devi creare attenzione e posizionare la tua “offerta” (in questo caso, il lavoro) in modo irresistibile, chiaro, adatto a un certo target.
Troppi annunci di lavoro sono noiosissimi, lunghissimi, scritti con gergo interno, pieno di acronimi che il povero candidato fatica a comprendere: “Cerchiamo Junior CX Specialist con 3+ yrs in CRM B2X e competenze in OOP IFRS AI Cloud… e pizza a pranzo?” Ok, forse ho esagerato, ma nemmeno tanto. Il risultato? Candidati scarsi, e quelli bravi non ti considerano proprio.
Un annuncio di lavoro deve chiamare in causa la persona giusta. Proprio come una headline pubblicitaria: “Stiamo cercando un Senior Financial Analyst per il nostro team in espansione” è diverso da “Cerchiamo un analista”. Già nella definizione “Senior Financial Analyst” c’è una chiarezza che attira i profili con 5, 10, 15 anni di esperienza e, di contro, scoraggia lo studente che si è appena laureato senza un giorno di pratica.
O ancora, se ti serve un responsabile tecnico, definiscilo “Responsabile tecnico specializzato in integrazioni software complesse” anziché “Cercasi responsabile tecnico IT”. Sì, suona più lungo, ma fa una differenza colossale.
Evita titoli “rockstar, ninja, guru”. Per carità di dio basta!
Una volta erano di moda. Ora gli algoritmi di piattaforme come LinkedIn, Monster, Indeed, Glassdoor e persino i sistemi di matching automatico tendono a penalizzarli. Senza contare che spesso attirano profili “folkloristici” e scoraggiano profili senior che magari guardano con sospetto a troppa “fuffa” nell’annuncio.
Inoltre, se vuoi mostrare la retribuzione, fallo nelle sezioni apposite. Non sbatterla nel titolo tipo “Commerciale – 50.000 annui garantiti!!!”. Generalmente, anche questo aspetto penalizza il ranking dell’offerta su molti portali.
Vuoi imparare a costruire un team vincente con il mio corso gratuito che approfondisce questo report e lo completa? Clicca sull’immagine qui sotto prima che sia tardi:
2. Dove “pubblicizzare” la tua offerta di lavoro
Un errore tipico è limitarsi a:
Chiedere ad amici e parenti. (“Conosco il cugino del mio barbiere che sa usare Excel, lo assumo come Controller!”)
Postare su LinkedIn una volta, magari in un post generico.
Mettere l’annuncio su un unico portale, magare pure gratuito.
E poi lamentarsi che “non arriva nessuno di valido”. È come lanciare un prodotto su un singolo canale e stupirsi se non ci sono vendite.
Invece devi usare tutti gli strumenti a disposizione:
Network personale (ma occhio a non usarlo come canale unico o troppo spesso);
Head hunter/recruiter professionali, soprattutto se cerchi figure manageriali specifiche e hai budget;
Pubblicità a pagamento sui portali di recruiting, specialmente se devi trovare in fretta personale di volume (ad esempio, addetti vendita, servizi di pulizia, operatori call center);
Contatti a freddo (sì, esistono strategie di “cold outreach” anche per cacciare talenti, soprattutto quelli di livello medio-alto);
Social e canali proprietari (se hai una community online, newsletter, ecc.)
Referral interni del tuo team (spesso un dipendente bravo conosce altre persone brave del suo stesso settore e le raccomanda).
A proposito di raccomandazioni: in Italia abbiamo un enorme numero di aziende che preferiscono assumere in modo familiare e informale. La raccomandazione può funzionare se un dipendente bravo segnala un conoscente altrettanto bravo; ma se non affianchi a questa un sistema strutturato, corri il rischio di ritrovarti in un loop in cui i candidati arrivano solo da una ristretta cerchia di persone, con competenze e attitudini a volte non allineate.
Il risultato? Da noi capita spesso vedere piccole e medie imprese bloccate perché i vertici si fidano ciecamente solo delle segnalazioni di parenti e amici, trascurando di esaminare (e a volte neanche vedendo) talenti esterni più qualificati. In molti casi l’azienda continua a girare su se stessa senza una crescita effettiva, perché si assumono persone con troppi interessi personali o poca voglia di innovare.
Gli effetti? Un bel rallentamento della crescita e la tendenza a scaricare la colpa su fattori esterni: “il mercato è saturo”, “la burocrazia ci schiaccia”, “la crisi ci penalizza”. Forse, un pensierino su come reclutare talenti veri sarebbe meglio, no?
Piccola stoccata ironica: a volte ho la sensazione che più di qualcuno pensi: “Se assumo tizi poco competenti, almeno non avremo discussioni in famiglia, e io resto il ‘re’ indiscusso dell’azienda.” Un’ottima strategia se miri a restare sempre piccolo.
Pro tip: usa tutti i canali di recruiting in modo sinergico. Vuoi uno staff di vendita di 10 persone?
Fai campagne a pagamento su portali specializzati,
Contatta un’agenzia specializzata e
Pffri incentivi ai tuoi commerciali migliori per portar dentro amici o ex colleghi (validi!) di cui si fidano.
Più grande il bacino, più possibilità di trovare i migliori.
Seconda tappa: la gestione del candidato
Hai pubblicato l’annuncio e hai usato vari canali. Ora piovono curriculum (o forse pioviggina, dipende da quanto bene hai fatto il primo step). Che si fa? Molti imprenditori/trainer/manager peccano proprio qui:
Lasciando le candidature a decantare in casella di posta per una settimana;
Rispondendo con messaggi standard, asettici, e magari pure in ritardo;
Non leggendo con attenzione i CV, sperando che “il candidato perfetto” si palesi quasi per magia con un cartellone luminoso sopra la testa.
Se hai fatto un minimo di formazione in ambito vendite, sai che un lead caldo va ricontattato in fretta. Per i candidati è lo stesso: nel mercato del lavoro attuale, i migliori chiudono con altre aziende nell’arco di 7-10 giorni. Secondo statistiche internazionali (fonte: Glassdoor, Indeed, e uno studio LinkedIn di qualche tempo fa), il 70% dei candidati più qualificati è sul mercato per meno di due settimane. Se tu rispondi dopo 20 giorni, hai perso il treno. E poi lamenti che “non ci sono candidati in giro”? Certo che no, te li hanno soffiati!
1. Lo screening: ovvero leggi i CV, accidenti!
Sembra banale, ma tantissimi delegano tutto a un software di selezione automatica o a un impiegato junior. Il problema? La persona (o il software) potrebbe non essere in grado di riconoscere competenze chiave. Non dico di cestinare il software, ma verifica tu stesso – almeno per i ruoli cruciali – le esperienze elencate, i risultati conseguiti, la durata dei precedenti impieghi. In questo modo scarti subito:
Chi ha cambiato 5 lavori in 2 anni senza giustificazioni;
Chi non ha mai rivestito un ruolo simile e punta a una mansione completamente diversa;
Chi ha competenze incompatibili col ruolo (l’educatore cinofilo che si candida a CFO – esempi assurdi ma reali);
Chi ha gonfiato il CV scrivendo “responsabile vendite” ma in realtà era stagista con un unico cliente (l’85% dei CV ha almeno una menzogna, secondo i dati di due piattaforme internazionali autorevoli come Checkster e HireRight).
2. La comunicazione col candidato: email, telefonate, follow-up e velocità
Più il profilo è alto, più devi essere rapido e professionale. Evita frasi tipo “La contatteremo noi se ci interessa”, come se fossi tu l’unico su piazza. Il candidato, se è bravo, è corteggiato da altri. Quindi:
Ricontatta entro 24-48 ore;
Spiega subito gli step di selezione: quanti colloqui, con chi, le tempistiche;
Se non risponde all’email, prova a chiamare o a scrivergli su LinkedIn (chi fa “contatti a freddo” per vendere software sa di cosa parlo).
Dai qualche informazione in più sull’azienda, sulla struttura, sui valori e sulla posizione. Devi nutrire l’interesse fin dal primo contatto.
Spunto di riflessione: “La prima impressione resta.” – (frase popolare, ma ribadita da molti psicologi del lavoro). Se dai un’impressione di lentezza, confusione, scarsa disponibilità, “acquisterai” i candidati più disperati (quelli a cui sta bene tutto) e perderai i migliori.
Se vuoi “nutrire” per davvero il candidato, trasforma la selezione in un mini-percorso di onboarding ancora prima dell’assunzione. Racconta in modo trasparente, ma convincente, come si lavora da te, quali sono le sfide, quali gli obiettivi. Non vuoi assumere qualcuno che a metà si accorga di aver frainteso tutto, si dimetta e ti lasci in braghe di tela.
Terza tappa: il processo di intervista
Eccoci al “momento della verità”, la chiusura della vendita. Qui si gioca un altro campionato di scelte curiose. C’è chi fa un unico colloquio di 10 minuti al bar (“Mi sembri un bravo ragazzo, inizi domani!”). C’è chi trascina i candidati in 6-7 colloqui con mezza azienda, poi li lascia in attesa di una risposta per un mese. Nessuno di questi due estremi funziona.
1. Struttura le fasi d’intervista con un senso logico
Potresti dividerle così:
Screening call (15-20 minuti): un giro di domande rapide per confermare che la persona non sia un alieno e abbia i requisiti base (competenze, disponibilità di orario, ecc.). Serve a non sprecare tempo in colloqui lunghi con candidati palesemente fuori target.
Intervista su aspettative e cultura aziendale: qui si approfondisce chi sei, chi è l’azienda, cosa fa, e si chiede al candidato cosa cerca, cosa gli piace o meno, qual è la sua visione del lavoro. La famosa “cultura” aziendale si manifesta anche dalle piccole cose che una persona racconta: come affronta i problemi, come preferisce lavorare (in team, da solo, “in smartuorchì”, in ufficio). Se ci sono incongruenze totali (“adoro lavorare in silenzio assoluto e non fare riunioni”), e tu invece hai un ambiente rumoroso e pieno di brainstorming, meglio chiarirlo subito.
Test di abilità: la parte spesso più trascurata, ma anche la più illuminante. Non servono chissà quali test ingegneristici: basta proporre un problema reale che quella posizione dovrà affrontare. Se cerchi un responsabile delle operazioni, mostragli un caso pratico di come gestire un sovraccarico di consegne. Se cerchi un Senior Financial Analyst, chiedi come farebbe a interpretare alcuni numeri di bilancio in caso di calo vendite. Se cerchi un addetto vendite, fagli fare una simulazione di vendita. È il modo più rapido per capire se è fumo o arrosto.
Allineamento finale su retribuzione, obiettivi e percorso di crescita: ora è il momento di discutere di soldi, benefit, prospettive di carriera (particolarmente importanti per i profili più ambiziosi), orari e condizioni contrattuali.
Colloquio col massimo responsabile (se la posizione è cruciale): che sia l’imprenditore o un CEO, questa intervista serve per dare la “visione” e motivare il candidato a vedere il quadro più grande. Deve essere un passaggio relativamente breve ma molto incisivo, un po’ come l’ultima spinta motivazionale per chiudere l’accordo.
Nota: se l’azienda ha già una certa struttura, è buona norma coinvolgere più persone che lavoreranno a stretto contatto con il candidato, perché possano valutarlo da varie prospettive (carattere, competenze, fit con il team).
2. Scripting, ovvero: cosa diavolo chiedi in un colloquio?
Molti “veterani” dicono: “Io ho l’occhio clinico, capisco subito se una persona vale! A Pelle!” e poi si ritrovano con i peggiori incompetentoni. Ve la strappo quella pelle!
Scherzi a parte, una scaletta di domande ti aiuta a confrontare i candidati in modo oggettivo. Esempi:
Sul passato e la coerenza del CV: “Parlami del tuo ultimo ruolo. Quali risultati hai ottenuto in modo concreto?” (Serve a scoprire quanto è onesta la persona e quanto è in grado di quantificare il suo valore);
Su situazioni pratiche: “Se dovessi gestire una protesta di clienti inferociti per un ritardo, da dove inizieresti?” (per posizioni in customer care);
Sulla cultura e le aspettative: “Qual è l’ambiente di lavoro ideale per te? Raccontami la tua giornata tipo” (per capire se si sposa con il tuo stile aziendale);
Skill test: “Ecco un caso-studio reale: come lo risolveresti?” (chi ha effettive competenze troverà una soluzione o almeno ci proverà in modo coerente, chi bluffa girerà attorno senza concretezza).
3. Velocità, trasparenza e offerta chiara
Quando trovi “quello giusto”, non aspettare altre 2 settimane perché “così siamo sicuri al 100%”. Se hai un funnel ben strutturato, hai già incontrato più candidati, hai fatto test e i numeri parlano chiaro. Muoviti. Senza la pretesa di non sbagliare mai – perché qualche errore ci scapperà comunque – la tempestività ti fa chiudere con i migliori sul mercato.
“Se scovi un fuoriclasse, assumilo subito. Meglio pagare un buon stipendio oggi che rimpiangere di non averlo fatto quando lo vedrai al servizio di un tuo concorrente.” (Warren Buffett)
Vuoi imparare a costruire un team vincente con il mio corso gratuito che approfondisce questo report e lo completa? Clicca sull’immagine qui sotto prima che sia tardi:
Ma perché non tutti lo fanno?
Se il sistema è così semplice (in teoria), come mai la maggior parte delle aziende fatica a reclutare e cresce meno di quanto potrebbe?
Paura di delegare: l’imprenditore o il manager “tuttologo” non si fida di nessuno. Crede che “non troverò mai qualcuno bravo come me”. Risultato: fa tutto da solo, nessuno cresce, l’azienda resta piccola o finisce per implodere.
Nessun processo codificato: si improvvisa. Una volta chiedo tot, la volta dopo chiedo altre cose. Non ho nemmeno un criterio per valutare. Finisce che assumo “a pelle” quello che mi sta simpatico.
Mentalità di scarsità: “Le persone brave costano troppo, non posso permettermelo.” Salvo poi spendere 10 volte tanto in errori e inefficienze. Strano vero?
Situazioni familiari o legami stretti: in alcune realtà, l’azienda è un piccolo “feudo” dove il capo non vuole mettere in discussione la catena di comando che include zii, cugini e amici. Siamo tutti d’accordo che il legame di fiducia sia importante, ma se nel tempo non introduci figure professionali esterne di valore, rischi di bloccare la competitività.
Paura del cambiamento: assumere persone di grande spessore potrebbe “minare l’autorità” del fondatore, che teme di non sentirsi più al centro di tutto.
Pigrizia: creare un funnel di reclutamento richiede tempo ed energie, e non dà risultati immediati (o almeno, non con la stessa velocità di un colpo di fortuna). Meglio rimandare a domani, no?
Frecciatina ironica che mi perdonerete: “Qualcuno prende decisioni ‘di pancia’, poi si lamenta che i dipendenti non lavorano come vuole lui. È un po’ come ordinare un vino a caso dal menù e poi inveire contro il cameriere se non è di tuo gradimento.”
L’impatto sul fatturato e sulla crescita a lungo termine
Dati e ricerche ci dicono che le aziende con un processo di selezione più rigoroso e veloce (quindi con persone più qualificate a bordo) crescono in media dal 1,5 al 2,5 volte più velocemente rispetto a quelle che trascurano il reclutamento (fonte: alcune analisi di McKinsey su “Talent Wins”, Deloitte e la stessa LinkedIn Talent Solutions).
La verità è che se concentri il 90% del tuo tempo solo sulla parte tecnica e operativa del lavoro o peggio ancora solo sul marketing e le vendite , avrai un picco di richieste cui non sai fare fronte. Se vendi a raffica e non hai il team che segue la post-vendita, l’implementazione, l’assistenza, fallirai in 3 secondi netti.
Questo senza prendersela sempre con noi poveri italiani che alla fine siamo dei poveri cristi che in maniera scomposta e ingenua ma ce la mettono tutta, lo vediamo anche con molte startup americane: spingono come matti sul “growth hacking”, raccolgono investimenti, ma poi scoppiano perché non hanno la struttura.
Eppure, la lezione è banale: puoi vendere di più solo se hai la capacità di gestire di più. E la capacità di gestire di più la creano le persone.
“I clienti non vengono prima. Prima vengono i dipendenti. Se ti prendi cura dei dipendenti, loro si prenderanno cura dei clienti.”
(Richard Branson)
Senza dimenticare che un team eccezionale non serve solo a svolgere i compiti. Un gruppo di persone valide ti porta nuove idee, soluzioni creative, upgrade costanti. Se punti a crescere davvero (superando la soglia psicologica di qualche centinaia di migliaia di euro o di qualche milione l’anno e oltre), avere 10-20 cervelli intelligenti è meglio che averne uno solo che scoppia di stress (tu).
Un esempio illuminante (preso dal mondo reale)
Immagina di avere un’attività di consulenza che fattura stabilmente 400.000 euro l’anno. Sei stanco di fermarti lì. Provi di tutto: nuovi funnel, nuovi ads, un nuovo brand, webinar, radio, persino i cartelloni in tangenziale con la tua faccia.
Arrivi a 600.000 ma ti senti già stravolto: devi rispondere a mille email, lavorare giorno e notte. Non puoi vendere a più clienti senza abbassare la qualità o farli aspettare mesi. Ti manca il tempo persino di guardare i bilanci o capire se stai marginando a dovere. È quello che è successo davvero a un mio cliente.
Allora segui seriamente il sistema che abbiamo descritto:
Definisci i ruoli chiave (ad es. un project manager, un direttore vendite, un responsabile amministrativo) e crei gli annunci come fossero “campagne marketing” ben studiate.
Pubblicizzi le posizioni su più canali, fai screening rigoroso.
Rispondi ai candidati validi in 24-48 ore e li porti velocemente alle fasi di intervista.
Testi le loro competenze con casi pratici.
Assumi i due o tre migliori e li affianchi con un onboarding serio.
Tempo 3-4 mesi (per essere realistici), hai due persone chiave che gestiscono ciò che prima facevi da solo. Ora puoi vendere di più e dedicarti a nuove strategie. Magicamente, passi da 600 a 1,2 milioni di fatturato nel giro di un anno, e con meno stress. Sembra una favola? No, semplicemente funzioni in modo aziendale, non più artigianale. Ovviamente non guadagni “il doppio di prima” (non sono un fuffaro che racconta le cose a modo suo omettendo dettagli per “venderti” qualcosa) perché hai nuovi stipendi da pagare e hai investito in “marketing per reclutare”, ma il risultato è comunque che guadagni:
più di prima
con meno stress
erogando con maggior qualità
differenziando il rischio su più clienti
Non è mica male no?
L’effetto (in)credibile: “Ma io non servo più a nulla?”
Ecco un rospo che tanti imprenditori non riescono a ingoiare: il timore di diventare “superflui”. Se assumi dei talenti che fanno esattamente ciò che facevi tu, e magari pure meglio, che ne è del tuo ego?
La verità, un po’ crudele, è che un vero leader costruisce un team così forte che, se lui sparisse per qualche mese, l’azienda continuerebbe a crescere.
Sì, cresce anche senza di te. E questo è meraviglioso… se riesci a superare la vanità (e un pizzico di piscosi ossessivo complusiva) personale.
In Italia, non sono poche le PMI che rimangono piccole perché il fondatore non accetta di “farsi da parte” in nessun ambito. Perfino quando c’è un passaggio generazionale all’interno della famiglia, spesso la vecchia guardia resta aggrappata al controllo totale, temendo di perdere importanza.
Quante volte hai visto aziende passate “falsamente” ai figli con la vecchia cariatide a 85 anni ancora in azienda ogni santo giorno? Ecco. Uelcom’ tu Italì!
Ecco perché alcune imprese restano in stallo o crollano al secondo cambio generazionale. L’aver creato un sistema di reclutamento e formazione continuo avrebbe potuto risolvere molte di queste questioni, portando manager esterni capaci di aggiungere esperienza e visione. Ma è una scelta che richiede coraggio: devi accettare di non essere l’unico genio sulla piazza.
Aforisma pungente: “Se sei la persona più intelligente della stanza, allora sei nella stanza sbagliata.” – (James Watson).
Le quattro resistenze più comuni e come superarle
“Non abbiamo abbastanza soldi per assumere profili di alto livello.”
Spesso è una falsa credenza. Se l’azienda ha un margine di profitto decente, può permettersi una figura che porti grande valore: basta saper strutturare l’offerta (paga base + incentivi sulle performance). E poi considera che una persona di alto livello spesso ripaga il suo costo in pochi mesi, se è messa nelle condizioni di lavorare bene.
“Preferisco uno appena uscito dall’università, così lo formo io come voglio.”
Va bene se hai tempo, pazienza e competenze di formazione. Ma se cerchi di scalare velocemente, a volte conviene una figura già “rodata”. Senza contare che un professionista esterno porta nuove idee e non le solite abitudini.
“Ho paura che porti via i clienti e si metta in proprio.”
Succede, può succedere. A me è successo tante volte, so di cosa parlo. Magari tu sei o sei stato cliente di un mio “spin-off” che se n’è andato all’itaGliana con la banca dati in mano. Va bene, non è questo il punto.
Ma se ti chiudi in questa paura, resti circondato solo da gente mediocre che nessuno ti ruberà mai. Già Henry Ford diceva: “C’è qualcosa di peggio di formare persone e farle andare via. È non formarle affatto e farle rimanere.” Meglio rischiare di avere un talento che, se ben trattato, resterà.
“Non ho tempo per fare colloqui su colloqui.”
Se non trovi tempo oggi, lo perderai in futuro a spegnere incendi. Assumere persone sbagliate costa molto più tempo e denaro rispetto a un colloquio ben fatto. Nel lungo termine, un paio di mesi di reclutamento ben curato risparmiano anni di disastri.
Ma in Italia funziona davvero? Uno sguardo alla realtà nostrana
Nel mercato italiano, ma anche di imprese all’estero aperte da italiani, in cui molte imprese sono di dimensioni medio-piccole, e dove c’è una fortissima incidenza di aziende familiari (secondo l’ISTAT, le imprese a controllo familiare rappresentano quasi l’85% del totale), il reclutamento è spesso informale.
Un parente o un amico si unisce all’attività, e si cresce “organicamente”. Finché siamo sotto il milione di fatturato, magari funziona pure: meno burocrazia, meno gerarchia.
Ma superata una certa soglia, se vuoi competere con concorrenti più grandi, con i giganti esteri o anche semplicemente consolidarti, ti serve un approccio più professionale.
Alcune conseguenze di questo stile “familiare” in negativo possono essere:
Difficoltà a integrare risorse esterne competenti che non facciano parte del “giro di conoscenze”;
Tendenza a premiare la fedeltà e non il merito, generando conflitti interni e riducendo la motivazione dei collaboratori validi;
Nascita di piccoli “feudi” dentro l’azienda, con parenti o amici che si coprono a vicenda e impediscono un ricambio di idee.
E non serve nemmeno scomodare i manuali di sociologia per capire quanto questo generi stagnazione. Più cresce la “chiusura” al nuovo, più si resta indietro. Un sistema di reclutamento aperto, invece, permette di trovare fuori dal giro familiare persone con skill preziose, in grado di introdurre approcci diversi, e perché no, di far crescere anche i membri della famiglia coinvolti nell’impresa, se questi ultimi sono disposti a imparare.
Case Study lampo: dalla crisi al triplo dei ricavi in 12 mesi
Un esempio (un po’ semplificato sennò facciamo notte) di un’azienda di formazione mia cliente quando ancora “formavo i formatori”, che si era impantanata a circa 30.000 euro al mese (non è poco, ma cercava di più).
Il fondatore era carismatico, bravino a vendere i corsi, ma perennemente sommerso da problemi operativi: clienti insoddisfatti, rimborso da gestire, marketing da rifare, e così via. Continuava a dire che gli serviva “un buon manager” ma non si fidava di nessuno.
Alla fine ha seguito un percorso strutturato di reclutamento:
Ha cercato candidati per tre ruoli chiave (un operatore di marketing esperto, un responsabile vendite, un responsabile customer care) con annunci e canali a pagamento ben curati.
Ha analizzato centinaia di CV, scartando chi non aveva già competenze solide in contesti simili.
Ha fatto una ventina di colloqui per ogni posizione, compresi test pratici (ad esempio, al responsabile vendite ha fatto fare una simulazione di vendita di un corso).
Ha offerto contratti misti (parte fissa + bonus performance), rendendo la proposta molto appetibile.
In 2 mesi ha completato il reclutamento e l’onboarding dei 3 nuovi manager.
Nel giro di 12 mesi, l’azienda ha triplicato il fatturato. Non perché lui avesse scoperto la “pubblicità su Marte” o un “super funnel galattico”, ma perché la struttura poteva reggere più clienti, focalizzarsi come gli avevo detto su un solo target, soddisfarli quindi meglio e persino innovare.
Come “chiudere il cerchio” e rendere il sistema continuo
Creare un team non è un evento una tantum. “Bene, ho assunto 5 persone, siamo a posto.” È piuttosto un processo ciclico: man mano che l’azienda cresce, servono ruoli nuovi o l’espansione di quelli esistenti. Inoltre, alcuni se ne vanno per mille motivi. Ecco perché molte aziende di successo mantengono aperta la “pipeline” di ricerca talenti.
Pubblicano come facciamo noi periodicamente annunci anche se in quel momento non hanno un ruolo preciso, ma vogliono raccogliere CV interessanti;
Curano il proprio employer branding, mostrando perché è bello lavorare da loro (cultura, valori, successo, opportunità di crescita);
Sperimentano diversi canali di reclutamento e mantengono contatti con i candidati più forti anche se non li hanno assunti subito (“ti tengo in considerazione per il futuro”).
Fanno sessioni di formazione interna per valorizzare chi già c’è, così da poter promuovere a ruoli superiori e reclutare nuove persone per sostituirli alla base.
In Italia la tendenza è in media un po’ più lenta della media europea e di quella statunitense, ma anche da noi iniziano a nascere (soprattutto tra le PMI evolute) prassi di HR più moderne: come “career page” aggiornate, storie sui social che raccontano l’ambiente lavorativo, referral program strutturati (bonus se porti un amico che poi viene assunto e resta 6 mesi), ecc… e noi con un minimo di immodestia stiamo cercando di fare la nostra piccola parte in questo processo.
I rischi di un approccio maldestro
Non è tutto rosa e fiori: se applichi questo funnel in modo meccanico e superficiale, puoi incappare in certi guai:
Volume di CV irrilevanti: se sbagli le parole chiave o la descrizione del ruolo, puoi ritrovarti 500 curriculum di persone assolutamente non in linea. Per questo serve un minimo di cura nel definire la job description.
Essere troppo rigido: se filtri eccessivamente su basi inutili (ad esempio, 10 anni di esperienza obbligatori, un master a Londra, 15 lingue parlate…), rischi di scartare talenti che potrebbero imparare velocemente.
Onboarding assente: trovi persone valide ma non offri un percorso di inserimento decente, con obiettivi chiari, supervisione e risorse. Loro non si ambientano e vanno via, generando rotazione e frustrazione.
Fidarsi di un singolo colloquio: magari il candidato era in giornata di grazia e ha recitato benissimo, ma non ha reali competenze. O viceversa, aveva l’influenza e l’hai scartato. Meglio più colloqui rapidi e un test pratico.
In sintesi, fare recruiting bene è un’arte. Ma è un’arte che può essere imparata con un sistema: non basta l’intuito, non basta il parere della nonna (“Quel ragazzo mi è simpatico, secondo me è uno di fiducia”). Ci vuole metodo, unito a un pizzico di flessibilità.
Conclusioni (senza troppi fronzoli)
Che tu sia una microimpresa, una PMI o un’azienda ben avviata, la differenza tra restare fermo a un livello di fatturato/stress e scalare verso orizzonti ben più grandi la fa (anche) la capacità di assumere e trattenere talenti.
Generare candidature qualificandole con la stessa maniacalità con cui generi lead commerciali;
Coltivarle e filtrarle rapidamente con una comunicazione efficace;
Intervistare con un processo a più step, domande mirate e test pratici;
Fare offerte chiare, magari incentivanti, senza tirarla per le lunghe;
Offrire un onboarding e una visione di carriera che diano valore alla persona;
Mantenere sempre la porta aperta a nuove candidature, perché la gente valida va e viene e l’azienda è un organismo in crescita.
I benefici? Riduci il turnover, eviti di assumere scappati di casa, aumenti la velocità di esecuzione su marketing, vendite, prodotti, customer care. E finalmente hai il tempo di dedicarti a ciò che solo tu puoi fare: dare la direzione strategica, creare nuove partnership, nuove idee o perfino lanciarne un’altra di business (se ami la poligamia imprenditoriale).
Così, mentre altri si sgolano su qualche “super funnel” convinti che il segreto siano i micro-dettagli del copy o la scelta dell’emoji giusta, tu avrai un intero esercito di collaboratori esperti che risolvono problemi, ottimizzano processi e portano risultati. Certo, non è “sexy” come la pubblicità con centomila visualizzazioni su Instagram, ma è quello che fa la differenza tra l’eterna promessa da 300mila euro l’anno e chi supera i milioni senza perdere capelli e sonno.
Vuoi imparare a costruire un team vincente con il mio corso gratuito che approfondisce questo report e lo completa? Clicca sull’immagine qui sotto prima che sia tardi:
Una parola finale sul coraggio di cambiare
Non sottovalutare la sfida emotiva dietro a tutto questo. Mettere su un vero processo di recruiting e delegare ruoli cruciali può far venire l’ansia.
“E se sbaglio la persona?” – Sbaglierai, almeno un paio di volte, fa parte del gioco.
“E se poi mi ruba l’idea?” – Se la tua idea è così facile da rubare, allora c’è un problema di fondo.
“E se i miei parenti si offendono perché non li promuovo?” – Se il tuo obiettivo è veramente la crescita, devi affrontarlo.
Ci possono essere compromessi, ma non cedere mai sul principio che l’azienda ha bisogno di competenze, meriti, visione e persone allineate ai suoi valori.
In un contesto in cui le imprese più evolute cercano talenti in tutto il mondo (basti guardare ai colossi del web che aprono sedi in diverse città europee, o che reclutano persone da remoto in ogni angolo del pianeta), restare chiusi nel piccolo fortino familiare o nell’improvvisazione non è solo ingenuo, è un suicidio imprenditoriale.
“La crescita non arriva solo dalla domanda del mercato, ma anche dalla capacità dell’azienda di gestirla.” – (Jay Abraham)
Se oggi ti senti bloccato, sappi che creare un sistema di reclutamento è come costruire fondamenta solide per la casa: non si vede da fuori quanto siano belle le fondamenta, ma se sono fatte male, basta un po’ di vento per far crollare tutto. Se invece sono fatte bene, la casa può crescere in altezza, aggiungere piani, ospitare più persone, resistere a tempeste e uragani.
In sintesi, la “noia” che ripaga
È un lavoro noioso, sì. Diciamo le cose come stanno: rivedere centinaia di curriculum, impostare un processo di intervista in più step, parlare con recruiter, prendere appunti e check-list, non è esattamente la parte glamour dell’essere imprenditore.
Non troverai i “like” sui social per aver fatto un ottimo screening ai candidati. Ma, alla fine, i bilanci sorridono. Perché il salto di qualità di un’azienda si realizza con le persone giuste in posizioni giuste.
Quando ti ritrovi a moltiplicare il fatturato e, soprattutto, a ridurre i livelli di stress, guardi dall’alto le tue “vacche sacre” ormai superate (quella mentalità “faccio tutto io”, “tanto non troverò mai chi lo fa bene quanto me”, “assumo mio cugino e buonanotte”) e ridi di te stesso.
Era tutto lì davanti agli occhi, ma non lo vedevi: assumere persone più brave di te in campi specifici e delegare loro la responsabilità operativa.
Ti do un consiglio finale: la prossima volta che pensi a come rinnovare il tuo marketing, cambia prospettiva e chiediti: “Sì, ma sono pronto ad assumere chi lo gestirà meglio di me? Ho un funnel di recruiting attivo?”
Se la risposta è no, preparati a restare incastrato, o a crescere per poco tempo e poi crollare. Se la risposta è sì, allora hai compreso l’essenza della leva più forte per scalare un’azienda: le persone.
Buon reclutamento (e buon guadagno) a tutti!
PS: Se vuoi essere sicuro di ricevere le prossime newsletter e avere accesso all’archivio di quelle passate, iscriviti gratuitamente con il pulsante qui sotto e se conosci qualcuno che può beneficiare di queste conoscenze, condividi, metti like, commenta… fai tu… 😉